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martedì 24 febbraio 2015

Nudo Crudo, il Grignolino di Fiammetta Mussio e Nadia Verrua


Si chiama Nudo Crudo, è il Grignolino figlio dell'amicizia di due donne monferrine Fiammetta Mussio e Nadia Verrua, il 2013 è l'anno.
Le uve vengono da una vigna di cinquant'anni a Vaglierano che è una frazione di Asti.
Due mesi e mezzo di macerazione sulle bucce, 12 gradi e mezzo, 588 bottiglie.
Tavijn, il papà della Nadia, sentendo la figlia e Fiammetta parlare di come volevano fare questo grignolino disse "L'aceto, in ogni caso, costa più del vino".



Lo assaggio in anteprima qualche sera fa a #CasaFaber durante una serata conviviale dedicata ai vini di Cascina Tavijn e fra una nocciola caramellata al masala e un grissino con la toma di Lanzo rimango sorpreso dalla piacevolezza di questo vino, pensavo fosse solo una sorta di esperimento e invece è molto di più.
Ci torno su con calma, un pranzo di festa, neve e sole, una luce bellissima, olio e aglio siciliani con peperoncino soffriggono nella padella, olive e pane nero, stracchino e carciofi crudi, qualche fetta di panettone tostata in padella.
Verso il vino nei bicchieri, colore stupendo, la luce lo attraversa nel riflesso del tovagliolo bianco, e incanta, come di un altro mondo.
Fragolina di bosco, aria umida di mare, sabbia, pepe bianco e incenso appena-appena, lampone non perfettamente maturo, conchiglie, pomodoro.
Nel calice scorre piacevole il sorso, nel tempo si evolve, stupisce la leggerezza
 e la beva, dietro un profondo intreccio di equilibri e sottigliezze.



L'etichetta sta sotto alla bottiglia, perché "ci è andata di culo" sottolineano Fiammetta e Nadia.
No,, non vi è andata di culo, è stata l'alchimia della vostra amicizia, la tua passione travolgente, Fiammetta, la tua percezione, Nadia, il vostro amore per quest'uva ingiustamente bistrattata e spesso mal vinificata, a dare vita a questo straordinario vino.
W il Grignolino!

mercoledì 18 febbraio 2015

Vita Grama

di Vittorio Rusinà

E' San Valentino, mio figlio mi dice "Papà siamo soli io e te stasera." 
E' vero, sorrido, nel cuore, alla franchezza delle sue parole.
"Che dici ci beviamo una bottiglia di vino a cena?" gli chiedo. "Sì" mi risponde.
Dunque sia un grande vino, un vino antico, con quindici anni di età, con un nome simbolico "Vita Grama".
E' un vino che ho comprato a Milano, da Vinoir e grazie a Vinoir.
E' un momento della vita in cui adoro i locali del vino, dove puoi mangiare qualcosa, bere qualcosa, comprare quache rara bottiglia, chiedere lumi del perché quella bottiglia e non altre. C'è quella calma riflesssiva, quella possibilità di percezione che manca alle sempre più numerose fiere del vino, che sinceramente non frequento più tanto.
I posti del vino non sono le fiere, sono le enoteche, i wine-bar, le trattorie, le cantine, i convivi di amici. Ecco ci tenevo a condividere questa mia impressione.



Mi stupisce di questo vino la freschezza, quasi non avesse gli anni che ha, i profumi intensi che vanno dalla polvere di cioccolato alla liquirizia, radici, sentori ematici, erbe.
Tre uve, merlot, cabernet franc, cabernet sauvignon, in incredibile equilibrio.
Un grande vino rosso dalle mani di Aurelio ed Emilio del Bono, vignaioli famosi più che altro per le loro bollicine naturali.
Un grande vino che non deve mancare nelle cantine dei veri seguaci dell'amore, da bersi non solo a San Valentino.



venerdì 6 febbraio 2015

DOGMA 15: I ❤ FRANK.


“Dogma 95 è un’azione di salvataggio!”
Lars Von Trier e Thomas Vinterberg






Il 13 marzo 1995 viene reso noto al mondo il Manifesto del Collettivo Dogma 95.
Per la cronaca è un lunedì.
Dogma 95 è una botta, uno schiaffo, una goliardata in salsa luterana (cioè, con quel senso dell’umorismo teso alla freddura se non al gelo del dopo-barzelletta-detta-con-la-faccia-seria, sapete, no?), un movimento serio e cazzone venuto ad abbattere le sovrastrutture del cinema capitalistico-borghese schiavo del Capitale e degli Effetti Speciali e tutta quella roba lì. Il Manifesto inizia con un Grazie ma potevate fare di più verso la Nouvelle Vague, continua con un Individualità=Cattivo Disciplina=Buono e arriva dritto e incazzato verso una roba che chiamano Voto Di Castità. Che è una serie di regole (“Indiscutibili”).


  1. Le riprese vanno girate sulle location. Non devono essere portate scenografie ed oggetti di scena (Se esistono delle necessità specifiche per la storia, va scelta una location adeguata alle esigenze).
  2. Il suono non deve mai essere prodotto a parte dalle immagini e viceversa. (La musica non deve essere usata a meno che non sia presente quando il film venga girato).
  3. La macchina da presa deve essere portata a mano. Ogni movimento o immobilità ottenibile con le riprese a mano è permesso. (Il film non deve svolgersi davanti alla macchina da presa; le riprese devono essere girate dove il film si svolge).
  4. Il film deve essere a colori. Luci speciali non sono permesse. (Se c'è troppa poca luce per l'esposizione della scena, la scena va tagliata o si può fissare una sola luce alla macchina da presa stessa).
  5. Lavori ottici e filtri non sono permessi.
  6. Il film non deve contenere azione superficiale. (Omicidi, armi, etc. non devono accadere).
  7. L'alienazione temporale e geografica non è permessa. (Questo per dire che il film ha luogo qui ed ora).
  8. Non sono accettabili film di genere.
  9. L'opera finale va trasferita su pellicola Academy 35mm, con il formato 4:3, non widescreen. (Originariamente si richiedeva di girare direttamente in Academy 35mm, ma la regola è stata cambiata per facilitare le produzioni a basso costo).
  10. Il regista non deve essere accreditato.


Insomma, il Manifesto del cinema naturale (e onore al merito nella nota 1).

Poi è andata com'è andata (nota 2).
Ma quello che conta è la crepa che produci nel pensiero, per quanto piccola possa essere.
E a me 'sta crepa nel pensiero è rimasta, quando i danesi fanno così i cazzoni mi diverte tanto, e così oggi, 6 febbraio 2015, il sottoscritto Eugenio Bucci (e chiunque abbia voglia di seguirlo, nel senso che chiunque può essere Dogma 15, una roba tipo V Per Vendetta o Club Di Topolino o un Fight Club meno cruento e più estremista) rende noto al mondo il Manifesto del Collettivo Dogma 15.

Le regole sono molto semplici.


1- Amerai incondizionatamente qualsiasi cosa prodotta da Frank Cornelissen.


2- …..?


Oddio, non me ne viene in mente nessun altra.
Non Importa.
Tante regolette vanno bene per i soldatini. E il Generale Cornelissen nei suoi cannoni mette fiori. I suoi vini c’hanno la vita dentro. Mica che gli altri tengano ‘a morte, cioè qualcuno si, ma non è questo il punto. Il punto è che i suoi vini sono tra le cose più emozionanti, divertenti, intellegibili e dure/pure che si possano incontrare. Mutano e rimutano rimanendo fedeli ad uno spartito. Sono un quartetto free-jazz dove ogni assolo squarcia il cielo e scompone e ricompone lo standard; sono metronimici come una kraut band coi suoi pezzi siderali e lisergici che possono durare 5 10 500 minuti; sono il pezzo punk perfetto, un Anarchy In The E.T.N.A. che ti fa pogare tutta la notte.
Ma sto divagando.
Questa regola non è un granché, lo so. Cioè, non è che si possa amare incondizionatamente qualcuno o qualcosa. Parliamoci chiaro. Non abbiamo più 15 anni. Quella nebbia in mezzo alla testa, quella nuvola amorosa davanti alla zona “Capacità Di Giudizio” non va bene. Ti rincoglionisce. Però, se c’è qualcuno che se lo merita, se qualcuno ci va anche solo vicino a guadagnarsi dosi massicce di amore adolescenziale, questo è Frank. Se vuoi scatenare il fan-boy che è in te, fallo per lui. Se proprio senti quel friccicorio nella mano e devi buttarti sulla street art, fallo con un Contadino in mano e sprayzza






Perché da qualche anno a questa parte lui produce tra le cose più emozionanti che possiate sentire. Perché Frank si che è Dogma e ha una sventagliata di regole tanto semplici quanto (proprio per questo) rigorose e serie: niente chimica, mai, in nessuna fase; cantina pulita, ma proprio pulita, tipo che pare una sala operatoria e prima di entrarci ti fa passare la suola delle scarpe in un liquido igienizzante; niente contatto col legno o l’acciaio, e, insomma, tutto deve essere un’autostrada vuota che porta a 1000 all’ora il frutto puro verso quella cosa chiamata vino. Semplice. Il Generale Frank se ne sta sul suo vulcano e lì certe malattie non ci arrivano e cura accudisce le sue vigne vecchie bacucche e pure lui un po’ di esperienza se l’è fatta e ha messo su un discreto manico. Così racconta la vulgata (nota 3).
Tutto molto semplice, no?
No.


Susucaru 2013

Il rosato di casa Cornelissen è forse il suo vino che più lavora in sottrazione. In una forma che rimanda mentalmente alla Loira dei cabernet franc no SO2 rarefatti e golosi a cui perdonare i difettucci. Solo che qui è tutto in salsa mediterranea. E difettucci non ce ne stanno proprio. Qui si lavora sugli spigoli, sulle pungenze aspre che innervano la bevuta. Il frutto fresco e guizzante, una mineralità rovente e l’alcool che unisce le fila. In sottrazione, si diceva. E con l’ago della bilancia sempre puntato sull’equilibrio, in quel piccolo spicchio di sole dove equilibrio si unisce a sottrazione e il risultato è beva. Less is more? Non sempre, quasi mai. Ma da Frank si.  



Contadino 2013

Nella 11a edizione mostra il suo lato meno muscolare. Non solo per i suoi 13,5° rispetto ai 15° della 2011 e 2012 (nota 4). Si perde qualcosa in consistenza e si guadagna in equilibrio. In un frutto ancora più preciso, già espresso e tuttotondo dove le annate precedenti han necessitato di qualche mese per assestarsi. Ed è un frutto più aspro, certo, ma come sempre avvolto da una speziatura bucciosa, un andamento da suq orientale con odori/sapori da giramento di testa. Mai una flessione, un cedimento alle ossidazioni, alle derive battericoqualcosa. Un come-si-dice. Un rapporto dialettico e virtuoso con l’aria. E lo scatto, il vero scatto, che avviene in bocca. In bocca avviene la prestidigitazione senza trucco e senza inganno: tannini e acidità che appaiono e scompaiono, increspano e danno scheletro; dolcezza e rotondità che avvolgono ma non le vedi, sono una nuvola di zucchero filato che si solidifica, prende forma, si equilibria. E intanto meravigli e passi al sorso successivo. Tutto nel Contadino 2013 è dosato col bilancino da quella Natura di cui Cornelissen è ormai il braccio destro. Il braccio armato.


Nota 1: E difatti il 14 novembre 2014 Vinodogma è diventato un manifesto programmatico di Nic Marsel all'interno del Collettivo Gustodivino.


Nota 2: Certo poi, come spesso accade, i Manifesti sono belli e nobili ma poi la realtà ti falcia e mena e ti costringe a confrontarti con lei e molti film Dogma erano tra il bruttarello e il ruffiano e il furbetto (e vabbé, non era questo il punto) e il voto di castità si è rivelato un po’ meno puro del previsto e Lars Von Trier ha fatto un po’ come cazzo gli pare (cit.) e ha detto qualche minchiata nei festival tra un antidepressivo e l’altro e ha cominciato ad usare a raffica rallenty, dolly, musiche, nani e ballerine, e ha fatto qualche capolavoro e qualche furbata venuta male ma comunque grazie, Lars, pazzo anarcoide, per averci fatto vedere degli Idioti purificare il mondo, per Björk che canta e balla in mezzo ad una saga biblica di sfighe. E per la Gainsbourg nuda.

Nota 3: E così racconta Frank nei 3 video sul canale YouTube di Storie Enogastronomiche. E nei 14 minuti e 7 secondi globali qualcosa del metodo Cornelissen si capisce. Per tutto il resto, puntate il navigatore su Solicchiata, armatevi e partite.


Nota 4: lo sappiamo, quello dei gradi è un falso problema, cioè, non è un problema o è un problema mal posto, nel senso che è un problema se l’alcool si avverte e si slega dal resto. Ma siamo tutti bevitori allenati, mica dei femminielli che se leggono più di 13° in un’etichetta si mettono a frignare “Oddio, adesso mi ubriacherò davvero!”.




giovedì 5 febbraio 2015

Compleanno al Ristorante Consorzio in 3 mosse

di Vittorio Rusinà



Il 2 di febbraio è il mio compleanno, ma non l'ho messo su Facebook, così mi presento al Ristorante Consorzio in "incognito", non ci saranno torte di compleanno, ne candeline, ne auguri, ma il fato si diverte e mi dona uno dei migliori pranzi della mia vita.
Il merito è di tante persone, dagli amici del bar che mi danno le dritte giuste sul vino di Francia da scegliere, al gruppo di cucina e sala del ristorante che mi fa toccare il cielo con un dito e da chi ha condiviso il pranzo con me.

1a mossa: il vino è un vino mitico, Le Verre des Poetes di Emile Heredia, lotto 2011, 100% Pineau d'Aunis sans soufre, da vigne di cento anni a Naveil in Loira.
Sono emozionato, Daniele, Cristian e altri amici del bar mi hanno detto che è meraviglioso. E si rivela un vino "superb", vivo, profumi di pepe, cardamono, frutti rossi, di mare.

2a mossa: ah "il maestro" di sala, Gian Giacomo, gran sorpresa (ero abituato ad Andrea e Pietro, assenti giusticati), in pochi attimi riesce a creare la giusta atmosfera e dare una attenzione al tavolo che ho visto solo in certi stellati italiani (mi viene in mente il Rigoletto di Correggio), conosce bene il vino che ho scelto e sa condividere con il tavolo la sapienza della cucina.

3a mossa: plin di carrube con ripieno di porri di Cervere su crema di tobinambur e un filo di liquerizia, l'azzardo della carrube frutto siciliano, a torto trascurato, è geniale e si sposa perfettamente con i porri, la crema poi è oltre. Sono una delle cose più buone che abbia mai mangiato e mi commuovo, qui la maestria del team di cucina esalta la materia e colpisce al cuore, per sempre. Un capolavoro.




Con contorno di: gnocchi di patate al bettelmatt e pere, carni crude, cavoli e la fontina più buona del mondo.

Uscendo mi inchino a questo ristorante che fa grande Torino, e penso che non aspetterò il prossimo mio compleanno per tornarci, anzi domani sono di nuovo lì.


Ristorante Consorzio, via Monte di Pietà 23, Torino
www.ristoranteconsorzio.it

mercoledì 4 febbraio 2015

Lode al malbo brisighellese, quello che nasce dalle "Vigne dei Boschi"

di Riccardo Avenia





Produttore: Vigne dei Boschi
Denominazione: Rosso Ravenna I.G.T.
Vino: Settepievi
Vitigni: presunto clone di Malbo per il 80%, 15% merlot, 5% Cabernet Sauvignon
Annata: 2003
Tit. Alcolemico: 14,5 % vol.
Caratteristiche: Fermenta spontaneamente in vasche, viene successivamente affinato per 18 mesi in piccoli legni di rovere.
Prezzo: 15/18 €
Url: www.vignedeiboschi.it

Prima di conoscere quello di Paolo Babini, non avevo mai sentito un malbo gentile vinificato in questo modo. Nella mia memoria, il vitigno è quello a bacca rossa diffuso principalmente tra le colline modenesi e reggiane. Quello che solitamente veniva usato in taglio con altri, perché ricco di zuccheri e polifenoli, per incrementare struttura, alcool, pigmenti e tannini. Insomma, uno di quei vitigni cosiddetti migliorativi.

C'è anche una leggenda - non fondata - dove si narra sia originario della California e che arrivi in Italia verso la fine dell'Ottocento, tramite un emigrato dalle origini genovesi (infatti viene anche chiamato Amabile di Genova). A rincarare il tutto, c'è l'assonanza con il vitigno malbeck, anche se, tra le due varietà, ci sono sostanziali differenze genetiche.

Qui però siamo in Romagna, sulle colline sopra Brisighella, zona altamente vocata alla viticoltura. Il clone di questo presunto malbo, si trovava in questo territorio già da tempo e viene recuperato dai Babini, da una vecchia vigna di chissà quanti anni. Personalmente non ho idea di quanto ci sia in comune tra il malbo in questione e il suo omonimo modenese/reggiano. Probabilmente solo Paolo, se passasse a trovarci qui al "bar", potrebbe raccontarci qualcosa di più. Ti aspettiamo :-)

In ogni caso, il Settepievi 2003 nel calice è profondo e scuro, tra spezie dolci, confetti e Frutta del bosco in marmellata. Un "tuttotondo" odoroso tra cioccolato, caffè, qualche richiamo alla pasticceria (probabilmente ceduta dai piccoli legni),  rosmarino e inchiostro.

Il sorso è freschissimo, snello, tra acidità e tannino ancora in splendida forma: chi l'avrebbe detto. Dinamico, i 14,5 gradi vanno giù avidamente, quasi impercettibili. Balsamico e sostanzioso - vedi frutto - sicuramente tangibile. Dunque rotondo, con struttura decisa, ma freschezza ad equilibrare il tutto. Retrogusto di frutta, a ripetersi, cioccolato e caffè. Con l'evoluzione "kurnegia", sì sì, avete letto bene, con sentori concentrati, scuri e densi.

Che cosa volete di più da un malbo brisighellese?

♥♥♥♥


P.S. Se la memoria non mi inganna, l'annata 2003 per Vigne dei Boschi, non fu così calda come in molte altre parti d'Italia. Infatti questo vino, con la sua grande freschezza ed un frutto intenso, conferma i miei ricordi.

martedì 3 febbraio 2015

Lo champagne naturale Bulles de Comptoir

di Vittorio Rusinà

Raro è raro ma lo champagne naturale esiste.
Era tanto che non bevevo champagne, è un vino che conosco poco, è un vino a tratti sopravvalutato, è un vino che ha subito tanti danni dall'industrializzazione dei metodi di produzione, ma qualche sera fa mi è stato offerto dall'amico, con enoteca in Leinì, Cristiano Devià da Banco a Torino e non ho saputo "resistere".
Bellissima etichetta per questo champagne, distribuito in Italia da Stefano Sarfati e prodotto dal giovane Charles Dufour a Landreville, nella Cote des Bar.
Charles Dufour ha un approccio naturale sia in vigna che in cantina, le fermentazioni sono con lieviti indigeni e alla sboccatura non vengono aggiunti solfiti.
Questo champagne extra brut si chiama Nouveau Souffle ed è indentificato con #3, da uve pinot noir, chardonnay e pinot blanc.
Una gran bella bevuta.
Mai più così tanto tempo senza champagne!


www.bullesdecomptoir.fr


lunedì 2 febbraio 2015

Il tempo, il ricordo, il progresso (la retorica del),


Negli anni settanta-ottanta, ad agosto, mia mamma si dedicava alla raccolta della frutta e alla sua trasformazione in marmellata. Raccogliere la frutta matura direttamente dall’albero era una esperienza sensoriale incredibile sia per il sapore sia per la impagabile sensazione di autonomia alimentare che dava.
Era bello pianificare le nuove piantumazioni e salutare le vecchie piante ormai esauste (i peschi, ad esempio, piante generose e belle hanno purtroppo una vita breve a differenza di ciliegi, noci, meli, peri, fichi, cachi).
A dire il vero la raccolta era faticosa e, vista la mia pigrizia, non mi esaltava, però il risultato finale: la marmellata era una scheggia di sole fondamentale per attraversare gli inverni nebbiosi.

Poi,
un giorno, a casa di un amico, assaggiai una marmellata, sempre “di casa” ma completamente diversa!
Una sorta di gelatina quasi trasparente che teneva in sospensione dei pezzi di frutta, i quali avevano la consistenza e il sapore del frutto quasi crudo!
Rimasi colpito da questa innovazione tecnica*, mi feci spiegare come replicarla e convinsi mia madre l’estate seguente ad utilizzare la nuova metodologia produttiva.

Acquistai della pectina in buste e via verso un “nuovo e migliore” orizzonte organolettico! (in noi occidentali è radicato il concetto abnorme e irreale del progresso continuo, del futuro che sarà sempre meglio del passato per cui il “nuovo” sarà sempre meglio del vecchio e dimentichiamo che il futuro non esiste, le uniche cose che possiamo conoscere sono legate al passato!).
Devo dire che subito la nuova marmellata mi piacque molto, manteneva la freschezza di frutto appena colto, una acidità maggiore e una croccantezza superiore.
Però a distanza di mesi questa esasperata crudità (che peraltro scemava e mutava non sempre in meglio) sembrava anomala, caricaturale, assurda.

Oggi dopo venticinque anni, quella esperienza tecno-organolettica mi è sembrata didattica se riferita al mondo del vino che pare ormai spaccato fra i soliti “tecnici” e i soliti “artigiani” e questa spaccatura mi ha sempre lasciato il dubbio che la mia visione (pro artigiani) fosse arcaica, reazionaria e che la mia avversione verso i propugnatori della tecno-scienza-perennemente-innovatrice fosse errata, antimoderna.



L’ossessione dei tecnoscienziati è quella di essere sempre e comunque portatori di un fattore di miglioramento legato esclusivamente al circolo vizioso della novità tecnica vista come miglioramento in quanto “novità” tout court!
Invece di lavorare sull’esistente e affinare i processi produttivi provenienti dall’esperienza, hanno deciso di sostituire la “memoria”, ritenuta retrograda, con il “nuovo”, con un processo continuo che quasi mai guarda indietro e raramente integra i saperi.
Questo ossessiva  sostituzione del passato e delle sue tecniche con altre sempre più recenti, ha portato ad un processo “culturale” che genera oblio e ignoranza e ad un processo “produttivo” che genera la perpetua obsolescenza degli impianti e delle attrezzature e dei protocolli (la manna per i venditori di tecnologia).
Non ci accorgiamo che spesso la “nuova tecnologia”, prima che essere una risposta ad un problema, è la risposta al mercato dei venditori, i quali supportati da “studi mirati e pubblicazioni scientifiche” creano la necessità di acquisto dei nuovi macchinari nei produttori sensibili al mantenimento della “contemporaneità”.
Un anno fa una mia cara amica produttrice mi disse che era entusiasta del nuovo enologo che aveva portato in dote una nuova tecnologia per produrre una malvasia frizzante ancora più fruttata, floreale, profumata.
Ci ho ragionato un anno prima di decidere che mi pare una follia affidarsi alla tecnologia per esaltare il varietale di quell’uva, negandole la complessità di altre componenti.
Probabilmente, avrei provato a vinificarla come un rosso normale per esplorare la profondità dell’acino completo e non mi sarei fermato alla superficialità dell’aroma primario, ottenuto oltretutto con gran dispendio di energia e mezzi.
Perché puntare alla semplicità, con derive banali, con costosi mezzi tecnici quando si può raggiungere grandi complessità con minimi mezzi tecnici?
E soprattutto perché dimenticare?
Perché sostituire invece di manutenere e migliorare?

Luigi