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giovedì 20 marzo 2014

“Il veleno nel piatto” di Marie Monique Robin. Non una recensione ma un ragionamento sul nostro futuro.

Quanto durerà l’umanità a questi livelli di intossicazione cronica?
Leggendo il libro di M.M. Robin mi sono chiesto perché, ad un certo punto della storia umana, si è deciso che per far crescere piante e animali si dovesse fare un uso abbondante di sostanze chimiche di sintesi spesso già palesemente tossiche prima del loro impiego in agricoltura, oppure nate proprio per essere armi chimiche.
Proprio mi sfugge la logica del ragionamento che sottostà a questo modello, come è possibile, coscientemente, irrorare di benzene, atrazina, ftalati, ddt, cadmio, agente arancio, neonicotinoidi i campi. 
Perchè uccidere ogni forma di vita, al fine di creare vita (i vegetali) e con essa sostentare vita (noi umani e gli animali da carne)! 
E’ un ossimoro con risvolti tragici.
E poi giù a parlare di quanto ddt* al dì possiamo mangiare e parte il balletto delle opinioni “scientifiche” 30mg/kgpesocorporeo, no! 10mg/kg, no! 100mg/kg, no! 5mg/kg (quantità inventate dal redattore, sottile ironia!).

Il problema diventa quanto pesticida possiamo mangiare noi e i nostri figli al giorno (naturalmente non si fanno studi per vedere che effetti hanno le sommatorie di principi attivi) e non quello molto più importante che verte sul fatto che con il fior fiore di “scienziati” che abbiamo potremmo affrontare l’agricoltura con meno piglio da guerra chimica, con meno riduzionismo, con un approccio positivo, vitale invece che mortifero e distruttivo.

L’agricoltura non è da considerarsi una guerra (vi ricordo che è parere condiviso degli esperti che solamente lo 0,3% del prodotto chimico va effettivamente a contatto col bersaglio sia esso insetto, fungo; il 97% si disperde nell’ambiente) perché se no, ne usciamo sicuramente perdenti.
Storicamente, si fa nascere l’agrochimica ad alta dipendenza energetica (senza il grande impiego di energia non rinnovabile non si potrebbero produrre le quantità impressionanti di pesticidi e fertilizzanti oggi utilizzati) nei primi anni del novecento in concomitanza con lo sviluppo dell’industria chimica legata alla guerra ed è innegabile che questo approccio è di concezione militare, il parassita è visto come un invasore da distruggere.

Un’agricoltura a basso impatto energetico che integri i parassiti nel suo processo, che lavori sulla vitalità invece che sulla mortalità! 
E’ questo quello che ci vuole.
Oggi come oggi la “Green Revolution” serve solamente  a mantenere alti i guadagni delle multinazionali dell’agrochimica, le quali cercano con ossessione e derive criminali solamente gli utili e si guardano bene dal verificare con la dovuta sicurezza, la presunta innocuità dei prodotti chimici che sono di volta in volta messi in vendita, la storia degli ultimi due secoli è lastricata di disastri ecologici (ddt, diossina, mercurio, distilbene, atrazina). 
Perché immettere nel mercato prodotti poco e/o male testati? 
Solo per accrescere i guadagni? 
Perché mantenere sul mercato questi stessi prodotti con escamotage anche quando sono stati dichiarati pericolosi? 
Perché esternalizzare i danni e i costi (sanitari e ecologici) delle proprie condotte criminali con la collusione dei governi, delle istituzioni preposte al controllo?
Oggi i nostri corpi sono colonizzati da alcune decine di molecole, alcune come i ftalati, il Bpa, sono molto stabili e altamente liposolubili e ci intossicano cronicamente con cessioni multiple di principi attivi la cui interazione nel nostro corpo è completamente sconosciuta.

Ormai l’”effetto cocktail” e l’azione endocrina dei “perturbatori endocrini” sono la nuova frontiera della ricerca tossicologica che però, suo malgrado è sempre in ritardo sulla commercializzazione delle nuove molecole il cui iter per poter essere utilizzate è sempre troppo semplice e non verifica mai con sufficiente sicurezza l’impatto sanitario dei prodotti.
Siamo ormai una popolazione di cavie sottoposte a intossicazioni continue e deliberate senza che ne abbiamo un qualsivoglia giovamento.

Luigi 

“Il veleno nel piatto” di Marie Monique Robin, Feltrinelli, Milano, 2012.

*il ddt ora è illegale (ma non da tutte le parti del mondo se ne è cessato l’uso), aveva anche lui probabilmente una Dose Giornaliera Ammessa (ossia una dose la cui assunzione non dava alcun sintomo di tossicità), dopo un po’ si è scoperto che il ddt si accumulava nel grasso corporeo e la molecola è praticamente eterna, per cui nel grasso dei predatori e degli uomini, le concentrazioni erano (sono?) altissime e stabili e danno luogo a gravi forme di intossicamento cronico (pochissimo studiate dai tossicologi).
Oggi altre molecole (il cui utilizzo è permesso dalle normative) hanno un po’ le caratteristiche del ddt, anzi sono ancora più subdole perché non sono tossiche come un veleno, per loro è assurdo parlare di Dga in quanto interagiscono col sistema endocrino e lo fanno a dosaggi bassissimi (alcune parti per milione per kg di peso) e sono molto pericolose soprattutto nelle fasi di crescita embrionale e arrecano danni soprattutto alle generazioni future con modalità spietate quanto poco conosciute ancora adesso: Bisfenolo a, Alacloro, Atrazina (illegale in EU, ancora in uso in molte parti del mondo) e altre ancora, ahimè!

3 commenti:

  1. Mi è piaciuto parecchio, questo post, toni pacati e fermi.
    Una cosa che sfugge spesso, quando si parla di inquinamento e di chimica agricola: la quantità ammissibile di veleni dovrebbe essere Zero.
    Ben scritto

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  2. "Il veleno nel piatto" (Notre poison quotidien) è anche il titolo di un film-documentario di Marie-Monique Robin realizzato nel 2010, qui di seguito il link https://www.youtube.com/watch?v=9PMvTxFSCOQ

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  3. la mia riflessione è sulle colpose mancate bonifiche, sul sapere colpevole di reti idriche di grandi città avvelenate, di territori agricoli e urbani contaminati e dall'assoluta perpetua mancanza di interventi dei preposti

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