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giovedì 6 marzo 2014

greco di tufo docg 2012, cantine dell’angelo, tufo (av)


A partire dal colore intenso, giallo zolfo.
Per continuare coi profumi elegantemente assestati su toni sulfurei appena accennati che si fondono con gli agrumi, la buccia di limone amaro e uno zic di sale, intenso e ossuto.
Per finire con i sapori penetranti e rinfrescanti, delicatamente acidulo/amaricanti e salati di agrumi del sud est asiatico.
Potente e lievemente scorbutico questo Greco è giocato sulle durezze, in equilibrio quasi perfetto fra acido/amaro/salato/sulfureo, nessuna concessione a dolci illusioni di uve mature.
Schiaffeggia naso e bocca e non sazia mai la sete.
Nasce da vigneti impiantati su una cava di zolfo a Tufo su pendenze rilevanti.
Pochi interventi in vigna e ancor meno in cantina dove Angelo Muto con l’aiuto dell’amico consulente Luigi Sarno (suo il Fiano 928) vinificano in acciaio, senza solforosa (solo in imbottigliamento 40mg/l di totale), senza lieviti secchi, senza chiarifiche, solo una filtrazione blanda.
E’ un vino espressivo, quasi ruvido in certi momenti, queste caratteristiche mi fanno ragionare su come i vini (in particolare i bianchi) ottenuti senza inoculi di lieviti e con solforosa bassa, siano pronti prima e non abbiano quel corredo dolciastro di profumi secondari così omologanti e tristi ma si esprimino con più forza da subito, con carattere e con maggior radicamento al territorio.
La sensazione è che i vini ottenuti con l’inoculo e forti dosi di solforosa, prendano strade (magari organoletticamente piacevoli) lontane dalla realtà e si isolino in un mondo parallelo, quello delle bevande tecnoalcoliche.
Angelo e Luigi sono indiscutibilmente la nouvelle vague della Campania e i loro vini lo testimoniano.
Kempè

Luigi


9 commenti:

  1. I grandi Borgogna BIANCHI hanno sempre una solforosa elevata, quella nota di polvere da sparo Nel Mersault nello Chasagne o a Puligny Montrachet che sembra essere la nota descrittiva riconoscibile che li eleva aI CAPOLAVORo… Questa qualcuno me lo spiega come in Borgogna l'uso della solforosa è così elevata anche da produttori che agiscono in biologico e biodinamica. Grazie

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    1. Raffaele, la strada della riduzione della solforosa è iniziata proprio in Francia sopratutto nel Beaujolais che non è lontano dalla Borgogna.
      Oggi molti borgognoni seguendo questa "moda" si stanno allineando alle sperimentazioni a favore della riduzione di so2 e i risultati si sentono, a me a memoria vengono in mente Bois d'Yver e i coniugi De Moor che in Chablis hanno abbassato notevolmente le dosi "infernali" di solforosa e i loro vini sono più larghi, pronti e decisamente più grassocci e multidimensionali.
      La lentezza ad adeguarsi è tipica di territori che hanno molto appeal e non hanno problemi di "brand" ma questa è un altra storia.

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    2. Boys d'Yver questo produttore mi manca, mi metto subito alla ricerca grazie mille

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  2. So che quello che ho scritto sembra non avere continuità con il Greco di Tufo di Angelo Muto… Volevo solo capire come i bianchi Italiani con potere di invecchiamento e fatti con una naturalezza fuori dal comune come il vino descritto nel post, non vengono presi in considerazione dai mass media internazionali come si fa con i francesi.

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    1. A questa domanda Raffaele non so rispondere, anzi qui si discute ancora sui vini naturali che "puzzano".

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  3. Allora a questa domanda, se Luigi permette, rispondo io.
    I mass media, caro Raffaele, sono per l'appunto "di massa". Ad essi si rivolgono le grandi aziende industriali, proprio perché in grado di raggiungere una grande massa di consumatori. Investimenti in comunicazione sui mass media significano tanti soldi, che solo le grandi aziende possono permettersi.
    I vini artigianali, sia per le caratteristiche del metodo produttivo che del vino finito in sé possono essere prodotti solo da piccole aziende, che non hanno né i soldi per scomodare grandi testate, né la necessità di dover raggiungere, con la loro comunicazione, la massa dei consumatori, considerate le poche bottiglie prodotte.

    Ovviamente la mia è una spiegazione parziale, ma abbastanza esemplificativa dei rapporti tra industria del vino e industria della comunicazione.

    Marilena

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    1. Grazie mille Marilena, condivido a pieno quello che dici e te lo delucidi molto bene. Però una cosa non resta ancora chiara, se guardi alle carte nei ristoranti nei vari continenti del mondo cosa che io faccio spesso. Vedo che vi è una percentuale di bianchi francesi che a paragone dei nostri vini bianchi sono in netta minoranza direi quasi razzista. Ora perché questo accade, il nostro corredo ampelografico è troppo complesso ed eterogeneo? I francesi hanno come autoctoni i vitigni internazionali e noi no? O gli Italiani non sanno vendere?… Questo succede anche con i vini degli artigiani. Possiamo dirlo, nel contemporaneo in giro per il mondo vi è una bella fetta di mercato per i vini cosiddetti "Naturali" (odio questa parola) e i francesi hanno una netta maggioranza anche in questo… Io me lo chiedo spesso perché non esiste una pagina dedicata nelle carte dei vini in giro per il globo al Carricante o Grego di tufo, o Vermentino, o Ribolla gialla, ecc…. sono sempre sotto la voce other varieties ed in netta minoranza… Perché per la borbogna, La Loira e per non parlare del Bordeaux e Champagne ci sono capitoli interi? … Se non fosse per la grande Langa ed il Nebbiolo e qualche grande Sangiovese I sommelier in giro per il mondo vendono solo Francia.. e questo me rosica tanto...

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    2. Bisognerebbe chiedere in primo luogo a chi importa, in secondo luogo a chi distribuisce, e infine a chi acquista...
      La rilevanza dei vitigni autoctoni nelle carte dei vini internazionali (e parlo solo di Sicilia, che è la regione che conosco meglio) è praticamente limitata al Nero d'Avola. Inzolia, Nocera, Perricone, Catarratto, Grecanico - e potrei continuare per almeno altri 20 vitigni - sono praticamente sconosciuti. Va meglio col Grillo, col Frappato e con i vitigni dell'Etna. Perché? Soldi: la Sicilia è terra di grandi, grandissime aziende che si sono affermate con i vitigni internazionali, riconvertire una produzione di milioni di bottiglie a vitigni autoctoni è costoso, sia in termini di investimento sul vigneto sia in termini di comunicazione.
      Questa può essere una delle spiegazioni più plausibili.
      Marilena

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  4. Amo il Greco di Angelo Muto e ancor più i Fiano di Lugi Sarno, perchè nella loro semplicità hanno una espressività molto diretta, immediata, territoriale.

    Il Greco di Angelo mi ha folgorato col millesimo 2009 come nell'annata 2012, mentre una boccia del 2010 provata nel 2013 (http://grappolospargoloo.spazioblog.it/184331/Fattori+dicotomici+del+Greco+di+Angelo+Muto.html)mi è apparsa leggermente provata dal tempo, forse con un minimio di solforosa avrebbe retto meglio un'annata eccellente per i Fiano di Avellino ma meno per i Greco di Tufo, anche perchè l'uva Greco a Tufo e nelle zone limitrofe ha una carica acida molto alta che unita alla tipica mineralità sulfurea gli garantisce una buona tenuta nel tempo se supportata da una ottima materia di partenza, ma a volte, in annate minori, tende a scindere troppo le componenti morbide da quelle dure col passare del tempo rendendo il sorso scomposto.
    Bisognerebbe capire nel Greco di Cantina dell'Angelo le potenzialità di invecchiamento per questo, assolutamente condivisibile, scarso interventismo in vigna come in cantina!!!

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