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mercoledì 22 gennaio 2014

Una nonvisita a Castell'in Villa

di Niccolò Desenzani




Sei giorni in Toscana, base a Foiano della Chiana. Le escursioni a carattere enoico devono essere rubate al tempo famigliare, escogitate in maniera subdola, con espedienti astuti e abilmente sottaciute fino al momento opportuno in cui, come per coincidenza, sembrino inevitabili.
Cioè io mi faccio tutto sto trip, ma probabilmente la mia metà sa già tutto e per gentilezza finge di cascarci.

Comunque dopo una giornata alle terme di Rapolano, è ancora relativamente presto e uscendo esprimo il desiderio di fare un giretto in macchina prima di rincasare, giusto per vedere coi miei occhi la zona di Castelnuovo Berardenga.

Proseguo oltre il paese seguendo un chiaro e premonitore cartello “Castell’in Villa”.
La strada si inerpica e a un certo punto decido di invertire e tornare indietro… ops poche centinaia di metri e c’è la Deviazione. E’ già chiaro che prendere quella piccola strada allontanerà tanto dalla via del ritorno.
Le bimbe dormono.
Imbocco la variante, sapendo che costerà probabilmente qualche discussione, ma chissà, magari non troverò alcuno e tornerò con le cosiddette pive nel sacco.

La mia visita a Castell’in Villa, fondamentalmente si rivela un’attesa di circa mezz’ora, aspettando che la principessa sbrighi le faccende organizzative per la cena del giorno dopo, il 31 dicembre. Frattanto ho modo di scorgere il Poggio delle Rose, il
cru di sangiovese che dà il nome al gran vino della casa, vedere da lontano Siena e intravvedere qualche vigna qua e là, in un paesaggio che mi ha stupito perché molto selvaggio. Vigne e boschi. Selle, poggi, vallette, e fondi bui e freddi.
Non certo le infinite distese di filari lungo dolci declivi collinari.
Il tempo stringe e le bimbe si svegliano. Posso solo fare i miei pochi ossequi alla nobil dama e comprare tre bottiglie. Di più sembra troppo oneroso.


Poggio delle Rose 2003
Mi son preso il rischio, a fronte di un discreto risparmio, di prendere l’annata pecora nera del millenio. La principessa non mi ha sconsigliato e io mi son detto “siamo ad altitudini di tutto rispetto, il cru è famoso e non sarà un’annata torrida a snaturarne il frutto”.
Aperto la sera stessa è stato una rivelazione. Un Sangiovese cui non ero abituato, vinificato in modo che mi è apparso
tradizionale old style al cubo. Sentori di vecchia legna e cantina fanno da leggerissima impalcatura per un golosissimo sorso, fresco ed equilibrato, dove si legge l’annata calda, ma si mantiene un profilo stilistico chiaro e soprattutto alcuni sapori rari e di estrema piacevolezza, che credo siano il quid che rende questi vini eccezionali. Il naso per la verità non era al meglio, evidenziando un sentore fievolissimo di similtappo, che talvolta random si ritrova. Chi lo conosce capirà cosa intendo, altrimenti penserete che rovinasse il vino. Assolutamente non è stato così, l’ossigenazione lo ha fatto quasi svanire e l’evoluzione del vino è stata viva e godibile durante l’intera serata. Ma di certo è la bocca di questo vino che mi ha fatto innamorare.


Chianti Classico Riserva 2005
Questa è l’altra bottiglia importante che mi sono concesso. Bevuta consecutivamente nei giorni successivi al Poggio, ho ritrovato alcuni elementi dello stile che mi hanno confermato l’elezione della zona. Forse un filo meno fascinoso, ma indubbiamente di maggiore integrità, questo 2005 mi ha fatto pensare al concetto di linearità della bevuta. Dove però c’è anche tensione e un costante livello di godimento, che traghettano verso la fine della bottiglia, senza mai alcun cedimento. Appagante, bello. Lo diceva la principessa: “la 2005, in questo periodo, si beve bene”.

Chianti Classico 2009
Già tornato a Milano, non ho resistito e ho deciso di esaurire la mia scorta di Castell’in Villa. Se dev’essere un raro lusso bere questi vini, concediamocelo immediatamente e non pensiamoci più. Ho trovato un vino non del tutto a posto. Segni riconducibili all’età, troppo verde, un qualcosa di fermentativo ancora sfuocato, code di sbisciolante dolcinità. Solo dopo un giorno dall’apertura si intuisce che forse anche questo base 09 troverà la sua strada. Perché se in parte è stata una delusione, è anche vero che ho avuto l’impressione di un vino coi difetti “giusti”: di uno stile di vinificazione senza forzature che talvolta, per le millemila variabili in gioco, esprime il suolo in maniera un po’ meno aggraziata. La sostanza è comunque di tutto rispetto, e credo si possa confidare nel tempo.


Au revoir Castell’in Villa, au revoir principessa.

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