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venerdì 26 dicembre 2014

Costine alla birra al forno, con polenta di Storo

di Daniele Tincati


Per la serie “mangiari di casa” invenzione di Vittorio, oggi cucino io.
Questo è un piatto semplice, che si fa da solo, a parte la polenta.
Le costine di maiale o si adorano o si odiano.
A casa nostra si adorano, soprattutto d'estate sul barbeque, ma d'inverno ci ingegniamo a farle in casa.
Questa del forno è una variante semplice, ma senza sughetti vari diventerebbero secche stoppacciose in un attimo.
Per cui le facciamo cuocere in pirofila, adagiate sul fianco, immerse per metà in birra chiara, di tipo non troppo pils, cioè non troppo amara, carica di luppolo.
Sono perfette le Helles bavaresi, ma il top sarebbe, come per lo stinco, le dunkel, sempre bavaresi, mai amare e con un retrogusto caramellato.
Basta un'oretta di forno a 180°C, magari anche ventilando col grill, avendo cura di girarle sull'altro fianco ogni tanto, per evitare che caramellino troppo, e per fare in modo che assorbano bene la birra.
In questo caso le abbiamo accompagnate con la polenta fatta con la farina gialla di Storo.
Per chi non la conoscesse, la farina di granoturco di Storo si ricava da una varietà antica di mais coltivato nella piana a nord del lago d'Idro, in provincia di Brescia, dal particolare colore arancione-rame.
Rigorosamente integrale, da vita ad una polenta soda, particolarmente gustosa.
Non è facile da trovare, io la prendo in zona quando passo nel periodo estivo, ma penso si riesca a trovare lo stesso in qualche negozio ben fornito, tipo vecchie drogherie o alimentari di una volta.
Sicuramente al nord sarà più facile, Lombardia di certo.
In alternativa, un’altra polenta qualsiasi, o quel che più vi piace.
Anche questa si fa in 45 minuti circa, ma bisogna stare “sul pezzo” in continuo e mescolarla spesso per evitare che si attacchi e possa bruciare.
Da fare non è semplice, ma se ci riesco io son capaci tutti, basta un buon braccio, che io non ho, per mescolarla.
In abbinamento, ci metterei un rosso sostanzioso, fresco per sgrassare, alcolico e tannico per asciugare l’intingolo in eccesso, ma non troppo massiccio per non coprire il gusto delicato.
Ci può stare benissimo anche una birra, magari la stessa della cottura, o anche più amarognola.
Se provate poi fatemi sapere se vi è piaciuto.
Alla salute.

martedì 23 dicembre 2014

West County Cider, mo' goodnes from the States


di Diego DeLa

Il sidro, questo sconosciuto.
Negli Stati Uniti la produzione e il consumo
massiccio di hard cider risale agli inizi dell'700, quando, sopratutto nel New England era considerato la bevanda del popolo e addirittura veniva servito ai bambini per colazione, poi accade qualcosa, attorno al 1840 la birra prese il suo posto nell'immaginario collettivo, probabilmente spinta dall'immigrazione di stampo germanico e dalla sete irlandese che portò con sè sia tecniche brassicole più raffinate che un "gusto differente".
 Il declino non si arrestò fino alla totale scomparsa   che ebbe il suo apice naturale con il proibizionismo e ancora oggi entrando in un bar americano le possibilità di trovare un sidro artigianale sono molto ridotte rispetto a quelle di trovarne uno industriale. Ad ogni modo, la grande rinascita della craft culture portata avanti dai birrai sta avendo delle ripercussioni positive anche in territori limitrofi infatti quest'anno al Salone del Gusto vi era un piccolo stand con tre produttori indipendenti e questo Cidermaker's Favorite è stato comprato proprio in quell'occasione.
Prodotto a Colrain, nel Massachusset dalla West County Winery, non ho trovato info utili sul web ( da buoni artigiani non hanno ancora dimestichezza col web, italiani docet) e dalla gradazione alcolica contenuta (4.5%) questo sidro si presenta nel bicchiere con un giallo paglierino brillante, evidentemente filtrato, non sono in grado di dirvi se sia stato anche pastorizzato e comunque non credo abbia rifermentato in bottiglia vista la totale assenza di tracce di lievito.
Al naso si presenta molto pulito e ben strutturato, spiccano gli aromi di mela, pera acerba, si sente l'aroma del picciolo e dei semi e sorpende per la presenza di fiori bianchi. In bocca la carbonazione  vivace accompagna un corpo di media consistenza, l'attacco è dolce e fruttato e  a cui da subito si aggiunge una lieve acidità ripulente che vira verso il citrico.

Il finale  secco,leggermente aspro e tendente al  rustico porta ad una bevibilità estrema davvero         appagante. Personalmente l'ho abbinato a un branzino al sale e devo dire che il sidro ha fatto il suo dovere ripulendo la grassezza del pesce e accompagnandone il gusto delicato senza sovrastarlo. Come si dice, avercene di sidro americano... [deLa]

lunedì 22 dicembre 2014

Memorabilia a.d. 2014

Il 2014 volge al termine.
Come l’anno scorso tireremo qualche somma, enoica.
Ci siamo dati un massimo di cinque vini/birre e di 140 caratteri (anche se non tutti si sono adeguati e ho deciso di soprassedere, siamo eno-anarchici!) per dirne qualcosa.
Ringrazio il nuovo avventore-scrittore che si è aggiunto quest’anno: Cristian Quarantelli che ha elevato il livello incrementando la biodiversità culturale del blog.
Con dispiacere saluto Rossana Brancato che ha definitivamente abbandonato il nostro bar di periferia per accomodarsi ai piani alti del web
Ringrazio Vittorio, Niccolò, Riccardo, Daniele, Andrea, Diego, Eugenio e Mauro che sono ormai consolidati baristi, scafati e induriti dalla militanza, sono stati compagni di viaggio fondamentali per la mia crescita e per il blog.
Il ringraziamento più grande va ai nostri lettori, siete un po’ timidi, intervenite poco, però ogni tanto di persona vi palesate e anche se appariamo un po’ freddi, sappiate che conoscervi e stringervi la mano è per noi motivo di orgoglio e da senso al nostro “lavoro” di ricerca, grazie grazie.
Kempè!

Nikoladse Winery, Tsitska 2011, Georgia
E assaggio un vino di una eleganza incredibile
La macerazione, la permanenza sulle bucce dov’è?
Bevuto tutto, senza scoprire dove fosse! 
Podere Pradarolo, Vej 2005, Bianco antico
aranciato/rame
tannico da spavento
scorbutico e rustico
berne mi da la sensazione di “nudità”, il vino si concede senza schermi, senza manipolazioni, senza filtri
Roland Pignard, Régnié 2010
Mai dire Gamay!
Cangiante e mutevole con beva micidiale.
Quinta da Muradella, Alanda blanco 2013, D.O. Monterrei (Galizia)
In Spagna si dice che se incontri un Galiziano per le scale, non sai mai se sta salendo o scendendo, questo vino sale, sale, sale
Daniele Ricci, Giallo di Costa 2009
Un vino nato dall’amicizia che c’è fra Daniele e Guido Zampaglione, l’emulazione ha generato un piccolo capolavoro!
Luigi

Feudo d'Ugni, Rosso 2007
Come da una lampada d'Aladino il genio viene fuori
Feudo d'Ugni, Bianco 2013
Un anno sulle bucce, per sempre nel mio cuore
Trinchero, Rosso Palmè 2011
Il brachetto sorprendente di Ezio 
Cascina Fornace, Viscà  
Nebbiolo noS02 dalla beva incredibile
Frank Cornelissen, Munjebel Bianco 2013
Tanto raro quanto buono
Tenute Dettori, Moscadeddu 2011
Per comprendere la bontà infinita del moscato
Quinta da Serradinha, Vinho Tinto 1989
E poi morire di gioia
Vittorio               

Proprietà Sperino, Uvaggio 2010
Una delle più eleganti freschezze di sempre. Sensualità.
Jean Foillard, Morgon Côte du Py 2011
Come dissetarsi fra le muffe di antiche cantine. Fascino.
Case Corini, Barla 1997
Bevendolo si sentono suonare gli angeli. Serenità.
Crocizia, Sol e steli 2013
Lì il sauvignon dà sempre qualcosa di speciale. Gioia.
Gérard Schueller, Pinot gris 2011
Per potersi ancora stupire. Meraviglia.
(e se vogliamo immergerci nel profondo infinito, il Monfortino 2004, eternità)
Niccolò

Piccolo Birrificio Bodega 2004 il birrificio non esiste più e la birra non è in commercio. Il white album di Lorenzo Bottoni.
Crooked stave- Hop Savant. Luppolo e lieviti selvaggi guerreggiano tra lieve acidità e ampi spazi fruttati. Esotica.
Birrone- Fuckìn rigorosamente spillata a pompa, morbida, accogliente nei suoi aromi di caffè e cioccolata. Ideale per la colazione.
Retorto- Malalingua: 12 gradi alcolici,un vino d'orzo suadente e traditore, ricco di frutta secca e leggere ossidazioni. Prima del bacio della buonanotte
De Dolle Stille Nacht 2014 a natale, metti canditi, frutta rossa e tropicale, lieve acidità e big babol in una birra. Se sei il dio delle fermentazioni otterrai questa birra.
Diego

Brise Cailloux 2011, Domain du Coulet:
la macerazione “raspante” gli dà decisamente una marcia in più.
Saint Joseph 2011, Hervé Souhaut:
 ecco i Syrah che mi piacciono, di grande dinamicità e beva.
Merlot “Vigna Ghilotto” 2010, Casa Elvira:
avete presente i classici merlot morbidoni e ruffiani? Bene,
questo non c’entra nulla……
Maranges 1er Cru 2012, Domaine des Rouges Queues
finezza ed eleganza tramutate in vino.
Pignoletto frizzante 2010, Gradizzolo
disinvolto e brillante, un pignoletto davvero azzeccato!
Andrea (Primobicchiere)

Zenner, Terra delle Sirene  2008
Un vietnamita a Pachino* riscrive(va?) la storia del Nero d’Avola.  
*NonèUnCinepanettone
Marco Tinessa, Ognostro 2010
Un Aglianico sorprendente fresco e dal tannino già setoso, color ognostro (inchiostro).
King Ink
La Biancara, Canà 2004
Cabernet e Merlot.
“Fidati, i vini senza solforosa aggiunta non durano…e oltre Gibilterra c’è il vuoto.”
God save AngiolinoMaule
Chateau Grillet, Vin Blanc 1993
Una Appelation, un  proprietario, un grande vino.
Viognier da lacrima.
Highlander
Trinchero, Grigno 2012
“Non ci credo è un Grignolino ?!?”
A bottiglia coperta si spaziava dall’Elba al Rodano.
L’eleganza del Grigno
Mauro

Campaglione bianco 2013, Vigne Di San Lorenzo
Trebbiano, macerato. Romagna terra di bianchi? Filippo Manetti “in Princic” lo sa, io
lo so. Sapevatelo anche voi.
Saint Joseph Pitrou 2010, Dard & Ribò
La migliore uva del mondonelle mani dei migliori viticoltori del mondo. Il loro French Touch è una
droga potente. Lisergica. Da assumere senza moderazione.
Roncaie Sui Lieviti 2013, Giovanni Menti
La new wave dei frizzi italiani passa da Gambellara. Poderosa uva Garganega turbizzata dalla
rifermentazione. Di 17.100 bottiglie ne acquisterei 17.099. E’ Natale, una
ve la lascio.
Contadino 10 2012, Frank Cornelissen
Attenzione, popolazione! E’uscito pazzo ‘o recensore! E’ che all’uscita era buono ma non super
(resoconto). Poi in primavera ha svoltato. Di brutto. Il Maradona del vino.
Accattatevillo...
Olivares Dulce Monastrell 1996, Bodega Olivares, 
Fortificato spagnolo, niente legno. 1996 il top. Pure le altre annate niente male.
All’epoca il LM che è in me dava: consistenza 33 , equilibrio 33 ,integrità
33 =99/100. Ora l’integrità sta sui 30. E son sempre 96/100.
Eugenio

Jean Pierre Robinot/Vignes des Anges, L'As des années folles 2012
Un vino cangiante.
Pojer & Sandri , Besler Biank 2004
Un vino eterno.
Fratelli Collavo , Prosecco Colfòndo 2012
Un vino da beva compulsiva.
Domaine Plageoles, Mauzac Nature 2012
Un vino in continua evoluzione.
Tenute Dettori, Ottomarzo 2007
Un vino che mi porta alla mente solo bei ricordi.
Cristian

Alfiere Rosè, Metodo Classico Dosaggio zero, Croci
Nel 2014, ne ho abusato senza remora. Barbera, bonarda e malvasia n. sui lieviti
per 18 mesi, possono esprimere finezza e un carattere ferreo.
Vivere (pinot bianco), Imbottigliato da Maria Bortolotti per Mariana Gunter
L'ho sentito ed ho sbarellato. Profumi, gusto, tutto mi ha trasportato oltralpe. Il
sapere che nasce dai "miei" colli bolognesi, è stato solo il valore aggiunto.
Dodo 2010, Taverna Pane e Vino
http://gliamicidelbar.blogspot.it/2014/09/cartoline-da-cortona-dodo-1010-
taverna.html
Adoro il sangiovese, mi esaltano le macerazioni con i raspi... Dai, a chi non piace
godere!
Chianti Cl."Le Trame" 2010, Podere Le Boncie
Immenso. Oggi come tra vent'anni, tra i miei Chianti Cl della vita.
Bourgogne Pinot Noir 2010, Philippe Pacalet
Forse atipico ma vincente per dinamicità beva e croccantezza.

P.s. Anche qui si vinifica con i raspi. Per dire!
Riccardo

Domaine des Griottes , Sauvageonne 2009, Vin de France
Finalmente un Sauvignon Blanc originale e originario, di quelli che non sanno di “Sauvignon”. Una
spremuta di frutta selvatica. Un’archeovino.
Carole-Corine-Olivier Andrieu , Clos Fantine 2001, Faugères AOC,
In stato di grazia, spremuta di mediterraneo, caldo, sole, macchia e frutto. Eleganza ed armonia
indimenticabile.
Domaine de Montrieux, Le Verre des Poètes 2009, Vin de France
Da vecchie e rare viti di Pineau D’Aunis. Croccante e pepato, sottile ma lunghissimo. Pecca un po’
di finezza, ma ha l’allungo dei grandi.
Domaine Gramenon, La Memè 2011, Cote du Rhone AOC
Bottiglia aperta al volo e bevuta ancora prima di rendersi conto della grandezza di questo vino.
Altro prodigio di antichi vigneti di Grenache. Una medicina.
Fabbrica di San Martino, Arcipressi Rosso 2013, Colline Lucchesi DOC
La riprova che, spesso, l’apertura condiziona la qualità della bevuta. Chiusissimo, selvatico e
stallatico subito, dopo due giorni si apre in un tripudio di fiori, frutta, spezie e beva.
San Cristoforo, Franciacorta DOCG, Pas Dosé 2007
Per festeggiare non poteva mancare lo spumante. Questa è l’unica bottiglia di Metodo Classico
che mi ha strabiliato quest’anno, anche perché ho trovato molte soddisfazioni nelle rifermentazioni
ancestrali.
Monte Dall’Ora, Sant’Ulderico 2004, Recioto della Valpollicella
C’è chi non ama i vini dolci, perchè non ha mai sentito questo. Denso e concentrato da fare il filo,
dolce ma ancora freschissimo, dal ritorno interminabile. Una chicca.
Daniele


venerdì 19 dicembre 2014

Pinot Gris 2011, Gérard Schueller

di Niccolò Desenzani



Sulfureo senza dubbio, in modo sfacciato da subito. Ma in bocca la sberla acido-sale, con un po' di gourmandise, eleva subito il tiro di questo vino.


Poi la botta di solfatara va affievolendosi verso un’esplosione di freschezza: di zuccheri filati, nespole, bergamotto. Rimane quel timbro di refolo sulfureo che ricorda forse, rarefatto, l'odore degli argenti ossidati. Si infiltra rinfrescante nel naso, con accenni di lemoncrema, che fanno tanto Francia.


Evolve veloce al palato, ma secondo un programma abbastanza preciso, per lo meno in questo periodo della sua vita: acidità rotonda molto spontanea, la carbonichina incalza lieve ad alleggerire e dare scrocchio, il sale dosato altrettanto bene di un'ostrica o di un riccio, e c'è per l’appunto quel lato un po' di pasticceria che fa l'occhiolino al bevitore. Come basso, subwoofer, la forza del pinot grigio col suo carattere agrumato, che fa pensare al pompelmo rosa a perfetta maturazione.

Potrei aggiungere a margine che è vino vivo, vibrante. Che non rinuncia a esibirsi a voce anche alta. Mutabile, instabile, esplosivo eppur lì, caratteristico, preciso nell'incedere e a dire con chiarezza le sue generalitá , il suo autore, il suo terreno di provenienza.

giovedì 18 dicembre 2014

Vigna del Noce 1997 Barbera d’Asti Doc – Az. Agricola F.lli Trinchero

di Cristian Quarantelli

E’ sabato sera, sono le 20.00.. l’indecisione su dove andare a cena è a mille…

IO – “Andiamo lì?”
LEI – “Boh… non so?!?”
IO – “Andiamo là??”
LEI – “Boh… non saprei….”
IO – “Andiamo alla Tavernetta??”
LEI – “Ok , andiamo li….”
IO – “Telefono.. Si, buonasera avete ancora un tavolo per due per stasera?”
L’ALTRA – “Un attimo che verifico… si, c’è ancora un tavolo, è l’ultimo siete fortunati… ma se riuscite venite dopo  le nove perché ci sarà da aspettare un po’.”
IO – “Ok nessun problema, grazie. A dopo.”
L’ALTRA – “A dopo. Buonasera.”
IO – “Buonasera.”

La Tavernetta del Lupo  è un ristorante che si trova a Sorbolo Levante, già in provincia di Reggio Emilia ma ad una ventina di minuti da casa mia. Per quanto mi riguarda è ”IL” posto del cuore, il posto che so che mai mi deluderà, sia per quanto riguarda la cucina che per quanto riguarda la cantina. Il posto dove vado quando voglio coccolarmi e farmi coccolare!

Sono i primi di ottobre, periodo di funghi, e manco a pensarci due volte, si ordina uno sformatino di funghi misti, tagliolini fatti in casa con porcini e finferli una porzione di porcini fritti… giusto per pulirsi in bocca! ;-)
 Apro la carta dei vini, vado a cercare qualcosa tra le annate più vecchie che spesso hanno un ottimo rapporto qualità prezzo e... ta dàaa… gli occhi cadono su un Vigna del Noce 1997 di Trinchero.  Preso!
















Il servizio è perfetto, il vino viene scaraffato com’è giusto che sia dopo 15 anni chiuso in bottiglia, e se devo essere sincero il residuo sul fondo non è nemmeno eccessivo… non vedo l’ora di mettere il naso nel bicchiere e ce lo pianto dentro!
Dopo la prima spolverata il vino inizia a presentarsi ed escono sentori di cuoio, incenso e frutta rossa macerata lungamente sotto spirito… in bocca è incredibile ed è il frutto che la fa da padrone, l’acidità credo sia ai massimi storici, il vino è vivo, vivissimo nonostante i 17 inverni sulle spalle. Resto scioccato! Il tannino è suadente e setoso, tutto è assolutamente finissimo.
Il sorso riempie la bocca e io mi riempio di gioia!

























Più passa il tempo e più il vino si apre e si presentano sentori di tabacco da sigaro, appaiono note affumicate quasi di pietra focaia… ma il bello resta la sua freschezza e la sua beva!



Raffaella (L’ALTRA), la titolare del locale insieme al marito Lorenzo che è l’artista in cucina, si avvicina al tavolo per chiedere se è tutto ok , e io pervaso di gioia nello spirito e nello stomaco confermo come sempre e lodo il vino… e lei dice: “Siete stati proprio fortunati, era l’ultima bottiglia

A presto!
Cristian

La Tavernetta del Lupo
Piazza Pallini, 1
42041 Sorbolo Levante - RE

mercoledì 17 dicembre 2014

Stille Nacht 2014. E' Natale.

di Diego DeLa


Tra i birrofili di tutto il mondo Natale arriva veramente quando, a inizio dicembre, viene messa in commercio la Stille Nacht. Stiamo parlando di una birra che in qualche modo fa stile a sé ed entra in concorrenza solo con le sue omonime di diverse annate.  Puntualmente, ogni anno, vengono organizzate degustazioni verticali di questo nettare supremo e in qualche modo noi tutti aspettiamo i primi resoconti degustativi di anno in anno, capita infatti che la Stille si presenti esplosiva sin da subito, altre volte sembra che il lavoro di Kris Herteleer non abbia portato i risultati sperati, salvo poi doversi ricredere diverso tempo dopo, con una birra che evolve incredibilmente in bottiglia.
Il tempo, ecco, il tempo è una questione fondamentale nell’approccio a questa birra. Innanzitutto si tratta di   un prodotto stagionale, legato indissolubilmente a questo periodo dell’anno e poi ci troviamo dinnanzi ad una delle birre  da invecchiamento per eccellenza per cui è doveroso accaparrarsene almeno qualche esemplare per vedere fin dove si espanderà la magia di questa fermentazione, cercando di coglierne i cambiamenti l’anno successivo e di indovinare il momento in cui ci sarà il picco qualitativo.
Per chi non conoscesse la casa dei birrai pazzi, la De Dolle brouwerji è situata ad Esen (Belgio), ed  il birraio viene considerato da molti esperti e guru del settore come una sorta di divinità dei processi fermentativi, effettivamente la qualità standard dei prodotti De Dolle è molto alta e l’alone di misticità legata al birrificio viene alimentata anche dal recupero del lievito Rodenbach originario, nel momento in cui la Palm smise di fornirlo ufficialmete a Kris e  la "leggenda" narra  di una coltivazione recuperata da qualche fusto non del tutto esaurito tornato in birrificio dai paesi del nord nel novembre 1999.
Tornando alla birra, nel bicchiere si presenta di un bel oro antico con riflessi aranciati, lievemente opalescente, spicca alla vista una schiuma fine, bianca e molto persistente.
Per quel che riguarda l’aroma ci si può davver sbizzarrire, in questa versione del 2014 pare che sia più facile elencare le cose che non si trovano rispetto a quelle che ci sono…una birra ricchissima, generosa nelle sue espressioni aromatiche. Si parte dalla frutta esotica per poi incorporare frutta candita, agrumi, big babol, mandorla,torrone, paglia,un tocco di banana, un lieve erbaceo, avvertibile anche una base biscottata a cui si aggiunge in maniera molto discreta un aroma etilico piacevolmente riscaldante. Con il tempo appaiono anche frutta rossa sotto spirito e uvetta, ma l'impressione è che davvero si possa andare avanti molto a lungo cercando continuamente elementi nuovi.
In bocca il corpo è medio alto e la carbonazione di media intensità, l’attacco è dolce e porta con sè tutte le sensazioni presenti al naso per cui miele, mandorla e frutta candita su tutto, il “miracolo” avviene quando si sovviene una discreta acidità portata dai lieviti che riesce a ripulire da tutta la dolcezza precedente ed invita inesorabilmente alla bevuta. Il finale è abbastanza secco, lunghissimo e ci dona sensazioni di mandorla, anice e una splendida buccia d’arancia. L’alcol (12%) è molto ben nascosto e rende la bevuta estremamente appagante e “pericolosa”.
Una grande  birra, da provare assolutamente, in accompagnamento col panettone oppure in solitaria lasciandosi rapire il cuore da momenti di pura magia.

martedì 16 dicembre 2014

Focaccia, Bottarga, Dettori Bianco… e fuori nevica!

Di Cristian Quarantelli

Ponte dell’Immacolata, il tempo non è nemmeno tanto male, si decide giovedi sera e venerdi pomeriggio si parte… sempre lì, sempre a Ceresole Reale, dove il cielo si accarezza col palmo di una mano, dove la frenesia dei giorni nostri lì non è ancora arrivata.

Come sempre porto con me un cartone di vino, come dire qb., giusto il minimo indispensabile… tra le bottiglie porto un Dettori Bianco ’11 questo perché mi è rimasta in frigo ancora una Baffa “di un certo spessore” di bottarga acquistata questa primavera in centro a Sassari nella Gastronomia Alberti sotto consiglio dell’Amico Fabio.
 

Quindi oggi si pranza cosi, andiamo al forno “Bio” del paese, persone squisite di cui prima o poi parlerò, e si prende della focaccia, anche quella integrale… fantastica, una delle focacce più buone mai mangiate in vita mia,  e sul banco oggi hanno dei cartocci già pronti, una zuppa tipo Valpellinentze e un tortino di pasta sfoglia con bietole, ricotta, formaggio e uova. Prendiamo quest’ultimo.
 

Si arriva a casa, si scalda il tortino e nel frattempo pelo la Bottarga… il profumo del tortino riempie la cucina e quello della bottarga riempie il mio animo, taglio la focaccia e la scaldo giusto un attimo. Nel frattempo apro il Dettori Bianco, subito è un po’ troppo freddo ma poi quando si scalda un attimo il vino esplode… al naso è balsamico all’ennesima potenza, la macchia la fa da padrona, ginepro, elicriso, resina di pino… l’ulivo e l’oliva o l’oliva e l’ulivo, come meglio preferite e poi una pesca sciroppata che rende il tutto più morbido. In bocca il vino ti invade ogni papilla gustativa, le prende e le strapazza, le scaravolta e le stende ad una ad una… l’acidità di quando mordi una nespola, quelle olive verdi grasse in salamoia, il sale del mare e del maestrale che arriva dal golfo dell’Asinara!
 

Posso definitivamente dire che il Dettori Bianco è uno dei miei vini del cuore e della vita! Un vino emotivo, un vino emozionale, un vino che fa emozionare, un vino che mi ha fatto emozionare! Un vino vivo, un vino col Ki! Un vino prodotto come piace a loro e come piace a me!



A presto!
Cristian


lunedì 15 dicembre 2014

Les Armieres 2011 - Domaine de la Garance

di Andrea Della Casa


[fonte: reseaumonsieurvin.blogspot.com]
Ex terza linea di rugby, Pierre Quinonero nel 1994 ha vinificato le sua prima vendemmia.
Nella regione della Languedoc-Roussillon, in quel di Caux (la cui etimologia riporta inequivocabilmente alla presenza di suolo calcareo), conduce 6,5 ha di vigne da selezione massale certificate bio-ecocert.
Situato proprio all’estremità della catena vulcanica del Massiccio Centrale dove le sue piante trovano un’ideale esposizione ai raggi solari, Pierre lavora i suoi filari di oltre mezzo secolo grazie all’aiuto di cavalli e cerca di combattere in modo preventivo infide avversità come l’oidio attraverso l’utilizzo di miscela di latte in polvere. In cantina i lieviti indigeni sono i soli fermentatori delle uve la cui vinificazione prevede anche la presenza dei raspi, e l’aggiunta di solforosa avviene unicamente attraverso "méchage".



Les Armieres nasce da uve carignan (90%) e syrah radicate su suolo basaltico e marne calcaree, il mosto per l’80% viene elevato in cemento e per il restante venti in barrique, per 27 mesi.
Dopo un inizio timido in cui pare un po’ introverso, libera dal calice profumi vinosi di cantina combinati a spezie pungenti ed esaltazione di piccoli frutti rossi.
Elegante, con un acidità salina quasi salmastra, ma al tempo stessa si distingue per la sua decisa succosità fruttosa. Un tannino di lieve astringenza lascia una fioca traccia amarognola finale che non preclude una beva sorprendente. 
Vino che dopo il primo assaggio scatena salivazione pavloviana ad ogni successiva mescita.

venerdì 12 dicembre 2014

Nobius 2009, Trinchero

di Niccolò Desenzani



Ci sono alcuni produttori in Piemonte che davvero fanno vini anarchici. Al di là del vitigno anarchico per antonomasia, il grignolino, sto parlando di produttori “tradizionali” che osano fare vini fuori dagli schemi dell’enologia miparoiculoinvignaemettoinbottigliarobesenzaalcundifetto. E scusate l’attributo un po’ rivedibile.
Mi vengono in mente spesso i rossi di cemento di Bera e ultimamente Ezio Trinchero non finisce di stupirmi.
Noto per le monumentali Barbera d’Asti, che già manifestano il seme della follia creativa, se si ascoltano con attenzione, vado scoprendo le sue produzioni minori (numericamente). Il suo Grignolino, il Freisa, il Bianco macerato e… indovina cosa nasconde la stagnola questa sera?


Ormai rituale l’incontro con Mauro a una testa, una boccia, no indizi. Rituale ormai la mia sensazione di dejavu, così forte che non indovino quasi mai. Be’, per farla breve, versa nel bicchiere questo rosso, con qualche leggera aranciatura. I profumi sono forti, selvaggi e pungenti. In bocca c’è un vino tantaroba. Acidità, tannino (ficcante, ma composto), funky, volatile, balsami, alcool a profusione, sapori intensissimi… eppur c’è un’eleganza, una sorta di compostezza da cinghiale.
E il vino è un turbine in cambiamento.
Registro che questo vino è praticamente una congerie di difetti e mi piace un casino. Come la mettiamo?
Boh, per prima cosa i gusti sono gusti. E non ci piove. Per secondo DUBITIAMO delle certezze che vorrebbero una certa CORRETTEZZA nel bicchiere. Per terzo chiediamoci come si beve, come si sposa col cibo… e infine quando la notte si è dormito come bambini e la mattina la testa è libera, ripensiamo a cos’è un vino buono. Al coraggio artistico di chi lo fa a suo rischio e pericolo. E la prossima volta che sento i buoni maestri dire che solo i coglioni rischiano di far andar a male un mosto quando avrebbero a disposizione la bustina per evitarlo… o romperò loro una bottiglia in testa o forse, meglio, stapperò una bottiglia di queste e penserò che c’è qualcuno che si perde qualcosa per star dietro alle proprie convinzioni. E forse, almeno quel difetto, non l’ho così pronunciato.
Il vino è il Nobius 2009 di Ezio Trinchero da uve nebbiolo in purezza.

giovedì 11 dicembre 2014

Ma la Terra Trema?


Ho attraversato una Milano bagnata, lucida come lamiera, dura come lamiera e sono entrato al Leonca.
Non avevo aspettative ma solo un gran mal di testa, una morsa mi schiacciava la nuca.
E fuori ricominciava a piovere. 
Pioggia.Rosso.Acciaio
Sono entrato con Mauro Cecchi e ci hanno dato i soliti bicchieri impossibili, gli “ISO”, il bicchiere da vino di Barbie e Ken.
Vabbè mi dico, sono il solito pirla che non si è ricordato che qui fa molto di “sinistra” bere in ‘ste fialette di vetro.
Giro, incontro gente, parlo…poco, perché Mauro è una forza della natura e perché ogni parola che proferisco è una fitta nel cervelletto.
Negli assaggi cerco il Piemonte (cosa rara per me che provo con sforza di smarcarmi da ogni forma di campanilismo) senza disdegnare il resto, ovviamente.
Malgrado il bicchiere e il mal di testa mi sono piaciuti:








Eraldo Revelli, Farigliano (CN)
Buoni tutti i loro Dogliani, è ora di riscoprire il Dolcetto e di riportarlo in tavola.
Farigliano è in alto ed è esposto ai venti che arrivano dalle montagne e si sente.
Produttori di grande umiltà e umanità.


Quat gat, piccoli viticoltori vercellesi.
Matteo Baldin, Franco Patriarca, Luca Caligaris
Nord Piemonte, Gattinara e Bramaterra, nebbiolo e altre uve (vespolina e bonarda novarese) vini che mi incuriosicono da sempre e che l’industria del tessile e della rubinetteria ha svuotato di senso.
I quat gat (quattro gatti) sono quasi garagisti e dalle loro mani escono vini un filino ruvidi ma di grande intensità, da seguire e soprattutto da bere.

foto di Cristian Di Camillo








Cantina Margò di Carlo Tabarrini
Grechetto e trebbiano soprattutto, esprimono un’Umbria affilata e tagliente con acidità vertiginose e sapidità da fleur de sel.
Salivo assetato scrivendone!






Bosco Falconeria, Partinico (PA)
Antonio e Mary Taylor Simeti
Catarratto anche in versione orange il "Falco Peregrino" molto interessante, succoso e con tannini inaspettati e bella sapidità, quello vinificato in bianco è molto “Sicilia” (lo dico perché ultimamente ne ho assaggiato uno molto Alto Adige!), rotondo, maturo ma ficcante, con profumi di macchia, di finocchietto





Torniamo alla domanda iniziale: “La Terra Trema?”
Di sicuro trema perché è malata e queste piogge iniziate sei mesi fà, forse sono le linee di febbre del pianeta ma non mi pare che interessi a molti cambiare approccio al nostro modo di abitare il mondo.
Tornando al vino, direi che la terra non trema più molto, mi pare da un po’ di tempo di leggere in filigrana una stanchezza nei vecchi vigneron e poche novità, pochi giovani che si inseriscono trascinati dalla volontà di emulare i “maestri”, intere regioni latitano, denominazioni ricche latitano o snobbano il confronto con il basso, la causa potrebbe essere la proliferazione di fiere e una certa tendenza degli organizzatori a riproporre le cose certe, consolidate piuttosto che cercarne di nuove. 
Persino sul web, a parte certi irriducibili, ci si accapiglia di meno sui concetti cardine “lieviti indigeni” e “naturale”.
Un nuovo mondo, ecumenico, buonista, neoliberista, populista, presenzialista, conformista è alle porte?