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lunedì 31 dicembre 2012

Montlouise sur Loire, Méthode Traditionnelle Brut, Appelation Montlouis sur Loire Controlée, Francois Chidaine




Post breve
per segnalare questo metodo classico della Loira in una
versione goduriosissima.
Chenin Blanc che poi è come il maiale, non si butta nulla (si fanno vini secchi, Demi-sec, Doux, passiti, passiti botritizzati e metodi classici tutti incredibilmente buoni).
Vena acida e minerale imponente ma non così tagliente come in Champagne
più alla mano, più orizzontale, un po’ più “ignorante” (cit)
meno roccioso, meno metallico, mitigato da leggere vene mature e agrumate che ricordano il sole e non il freddo del nord
sempre senza eccessi.
Finemente petillant e saporitissimo.
Veramente irresistibile, a tredici o quattordici euro in enoteca al centro di Parì.
Bonne degustation

Luigi

Poscritto
Se i francesi stessi producono metodi classici molto buoni al di fuori della Champagne con prezzi nettamente inferiori, perché noi e il mio pensiero corre alla Franciacorta, Alta Langa etc decidiamo prima il prezzo (alto a livello Champagne per esigenze di “posizionamento del prodotto”) e poi ci preoccupiamo di come fare il vino?

Post Poscritto
Ahhh!
Avevo letto distrattamente il sito del nostro Francois Chidaine!
Per quattordici euro o giù di lì ci dà:
un metodo tradizionale a base Chenin Blanc in purezza da vigneti di trenta e novanta anni (in Alta Langa manco esistono vigneti così vecchi) condotti dal 1989 in biologico e dal 1999 in biodinamica.
Resa ettaro 35 ettolitri.
Fermentazione spontanea con lieviti indigeni, affinamento delle basi sulle fecce fini per sei mesi in barrique e presa di spuma di dodici mesi.
Zuccheri riduttori inferiori ai 2 gr/l in pratica un non dosato.

Ed io mi dolgo dell’arroganza dei nostri spumantisti.

domenica 30 dicembre 2012

La Tana del Re di Vittorio Rusinà



Si chiama La Tana del Re, è a Torino, a due passi dalla centralissima piazza Castello, ne avevo letto nelle recensioni del gastro-gourmet Leo Rieser, cucina Salernitana (divisa fra Cilento e costiera d’Amalfi) a Torino di ottima qualità, scriveva, con carta dei vini interessante…come resistere alla tentazione?

La sera prima della fine del mondo decido di scendere le scale che portano nella grande sala sotterranea del ristorante, edifizio antico, con ampie e alte volte a botte con mattoni a vista, il tutto dà la possibilità di parlare senza disturbare ed essere disturbati dai vicini, cosa da non trascurare.

Cucina a vista dove noto una giovane donna chef che rivela una mano davvero felice, assaggio delle alici fritte ripiene di ricotta e mozzarella di bufala, semplicemente perfette, passo poi ad un piatto antico di minestra strinta salernitana, colgo la cottura da stella degli spaghetti di Gragnano alla colatura di alici di Cetara e plano infine nel paradiso di una frittura di pesce che mi emoziona.

Ah il vino… quasi dimenticavo le note salmastre e di erbe officinali, a volte aspre, a volte dolci, cangianti e lunghe, dello straordinario Sophia 2010 di Cantina Giardino, alchimisti vignaioli in Ariano Irpino.

Si mangia e si beve davvero bene alla Tana del Re, la magnifica cucina del Sud al Nord.

La Tana del Re, via Virginio 1, Torino

Vittorio 

venerdì 28 dicembre 2012

Chardonnay “En Chalasse” 2009, Aoc Cotes du Jura, Domaine Labet



Io amo lo sciardonè del Jura anche se il Domaine Labet mi è sconosciuto come produttore
Quindi ordino una bottiglia di Labet e mi pregusto il godimento della bevuta e della novità
Arriva annuso e
Vanigliosità inaspettate mi pizzicano le narici
Non ci credo e assaggio
Niente!
Sempre quei toni di legno educato, abbastanza soffuso ma persistentemente dolce
Poi esce, in fondo escono la rusticità rasposa e acida e le leggere derive ossidative (molto leggere) del vitigno della Franche-Comté
Come in certe canzoni in cui il ritornello è coinvolgente ma il testo è ridicolo, non mi convince
Si fa bere non sia mai, ma ne esco deluso
Kampai

Luigi 


Poscritto
Altra storia, invece, è lo Chardonnay  Les Chalasses Marnes Bleues 2008 di Ganevat

mercoledì 26 dicembre 2012

Pinot versus Pinot





























Un gioco più che altro, sul filo labile delle sensazioni.
Nato dall’assaggio di due Pinot Nero.
Due annate differenti (e questo non gioca a favore delle mie elucubrazioni!).
Duemilasette duemiladieci
Alsazia e Borgogna
Schueller e Derain

Husseren-les-Chateau
Vs
Gevrey Chambertin (mica robetta)

Così ad impatto considerando come attenuante la gioventù del Gevrey Chambertin ha vinto  l’Alsazia con il Pinot Noir LN012 2007.
Vino elegante e affilato, tipicamente pinoteggiante e terroso, con grande affumicatura, pepatura e incenso.
Una lieve rusticità lo rende bevibilissimo.
Ah! Molto mobile e ondivago nel bicchiere.

Gevrey Chambertin recolte 2010
Troppo giovane, lo so!
Nello slalom parallelo con l’Alsaziano si percepisce netta una grassezza e una morbidezza di maturità fruttose di buccia d’arancia e fruttini assortiti, pepatura in secondo piano.
Destinato a crescere di sicuro, si è fatto bere con minor piacevolezza.

In realtà i Pinot Nero assaggiati sono stati tre, i due Francesi contemporaneamente e il terzo italico il giorno dopo.
Senza dubbio, anche se con un po’ di pudore, posso dire che se non avessi saputo che era monferrino un posto nel micro olimpo made in France lo avrebbe meritato senza dubbio.
Nino 2010.
 “La vigna al tramonto vede il Monte Rosa tingersi del suo stesso nome e saluta i cugini d’oltralpe” (Dan Lerner).
Lo avrei messo al secondo posto nella mia personalissima classifica di piacevolezza.
Affilato e pepato, dritto e di gran piacevolezza.
Fabrizio Iuli, come gli hanno consigliato in Borgogna, mette anche i grappolini immaturi che le piante producono.
Una iniezione acido malica che fa un gran bene.



Bonne degustation

Luigi

Poscritto
Mi sono accorto dopo aver scritto il post che Niccolò aveva già recensito il Pinot Noir LN012 anche se del 2005 qui.
Ho poi letto che il pinot nero adesso è molto à la page per la sua estrema rarefazione da vino magro.
Lo scrivono coloro che in passato hanno sopravvalutato e elevato a modello i vini obesi.
Così va la vita.
Forse bisognerebbe avere il coraggio di ammettere i propri errori e ammettere che i gusti cambiano, anche i proprii  e piantarla di comportarsi come maestrini con il complesso di inferiorità.

martedì 25 dicembre 2012

BUON NATALE


Questo non è il miglior Natale della mia vita, però devo dire con forza, al di fuori di ogni retorica e facili smancerie da rotocalco che i due anni di permanenza sul web mi hanno permesso di allargare le amicizie al di fuori di ogni mia più rosea previsione.
Io sono chiuso e scontroso, tendente alla introspezione, con derive da misantropo e cercavo nel web di affermare il mio ego.
Invece ho capito che è uno strumento incredibilmente potente di socializzazione (se c'è sotto una passione comune e la volontà di ascoltare).

Oggi posso contare su una schiera di amici che condividono con me molto di più del liquido idroalcolico di cui parlo con ossessione.
Condividono una passione e un percorso di crescita che mi riempie di gioia e mi permette di ammortizzare i dolori e le delusioni che paiono rotolarmi addosso da ogni parte.

Mia moglie mi sopporta durante quei lunghi vuoti esistenziali in cui il vino mi rapisce da casa, mia figlia gestisce in proprio, sul lap top di Hello Kitty, un wineblog che aggiorna ogni giorno, a loro va il mio più grande abbraccio, perchè so bene quanto sia complesso starmi vicino.

A Vittorio Rusinà la persona più positiva e ottimista che abbia mai incontrato che mi ha preso sotto la sua ala protettrice un abbraccio che include anche lo scienziato “pazzo” Niccolò Desenzani un vero segugio enologico, infaticabile, generoso, di una onestà intellettuale d'altri tempi che non sò come (e a me piacciono le cose capitate per caso senza calcolo) è diventato l'alter ego de "gli amici del bar".
Sergio poi completa il quartetto, lui è il più sfaticato, d'altronde un palermitano che vive a Roma! Ma non potrei fare a meno dei suoi consigli e della sua gentilezza e competenza e sensatezza che smorzano i miei eccessi beluini, un abbraccio anche a lui.

Noi quattro congiuntamente auguriamo a tutti voi che ci leggete Buon Natale e bevete senza troppa moderazione.

lunedì 24 dicembre 2012

Cascina degli Ulivi, Mounbè, vino da tavola rosso, (2006) e 2005



StefanoBellotti divide un po’ i consumatori perché i suoi vini sono “semplicemente complicati”.
Nella definizione del suo concetto di terroir il peso della mano del cantiniere rovescia il rapporto col pedoclima a favore del primo.
Ovviamente non è interventismo tecnico, sarebbe un grave insulto al lavoro di Bellotti.
Ma è il tentativo di portare avanti il progetto di un vino senza additivi, nemmeno la solforosa.
Sia giusto o sbagliato nessuno può dirlo, anche se in molti si scalmanano parecchio sulla questione degli interventi enotecnici, comunque Bellotti non vuole aggiungere nulla e devo dire che a me piacciono le persone coerenti che perseguono la coerenza ben oltre la ragionevolezza.
Sono stufo di un mondo ragionevole che sta ragionevolmente schiantandosi contro un muro.
I vini di Bellotti dividevano anche me, poi un giorno ho assaggiato una insalata fatta con i suoi finocchi grossi come palloni, bianchi, teneri e profumatissimi.
Mi sono detto che se quest’uomo fa delle verdure di questo genere è da seguire perché ortolani non ci si inventa (vignaioli sì e il mondo viticolo è li a confermare questa tesi) sotto ci deve essere spessore, capacità, umiltà, intelligenza e pazienza.
I suoi vini sono duri e diretti e compensano la mancanza di solforosa con una ragionata ossidazione.
L’ossidazione controllata, gestita di una materia prima di qualità è uno strumento importante per stabilizzare i vini (anche su questo argomento gli enotecnici si scalmanano, vogliono un mondo tutto limone e pompelmo) e non lo inventa Bellotti, si è sempre fatto.
Comunque
Nella mia ricerca mi sono scontrato con il Mounbè.
E fatale mi fu questo incontro.
E’ una Barbera della tradizione tortonese, ossia un blend di barbera 85%, dolcetto 10%, ancellotta 5%.
E’ un vino cupo e potente con profumi ferrosi, scorza d’arancia, rosmarino, menta, ciliegie sotto spirito..
In realtà un calembour di variazioni sul tema dalla terra, alla frutta, alla corteccia.
Il tannino del dolcetto si sente e amplifica l’acidità viva e succosa della barbera (d’altronde lo mettono proprio per questo).
In questa bottiglia è esemplificato, come fosse un campione didattico, lo scontro-incontro infernale e godurioso della acidità con la dolcezza della barbera.
Che è dolcezza e non morbidezza (qua sta il problema delle barbera moderniste e legnose), non è glicerità e avvolgenza ma lotta cruda e affilata fra acido e zucchero nel mezzo di un mare di profumi.
Kampai


Luigi




Mounbè 2005 la barbera delle vigne di Montebello by Stefano Belotti di Cascina degli Ulivi, una lezione magistrale sulle virtù della barbera, densa, terrosa, argillosa, un equilibrio alcolico di acidità e dolcezza, una concentrazione di frutti profonda, alchemica
Mi inchino a questa grande barbera
Vittorio

domenica 23 dicembre 2012

E’ un po’ che non scrivo di agricoltura



E’ un po’ che non scrivo di agricoltura e ciò mi rattrista perché la definizione che ha dato tempo fa Vittorio Rusinà di #blogagricolo mi piaceva molto.
A rattristarmi in realtà è la durezza di pietra contro cui si scontrano le mie (non solo mie) parole profuse sull’argomento.
Solo polemiche e scarsa volontà di comprendere l’alterità dei pensieri, solo scontro fra muri impermeabili.
Senza voler fare lo psicologo da quattro soldi, leggo nella cieca difesa dello status quo, la paura di vedere le fondamenta su cui sono basate le nostre vite crollare miseramente e con esse tutto ciò che pensiamo di aver costruito.
Costruire appunto! Abbiamo costruito troppo ed è questo il concetto fondamentale.
Ed è quel larvato dubbio di essere stati troppo avidi di terra, di tecnica, di innovazione per l’innovazione senza canalizzarla verso obiettivi e finalità ampiamente condivise che adesso ci frena dall’ammettere che abbiamo devastato il pianeta con comportamenti di rapina.
Quando studente approcciavo la storia dell’architettura e dell’urbanistica era chiara l’assurdità dei processi espansivi della città che nati alla fine dell’ottocento continuano ancora oggi incessanti e ciechi.
In passato le città si costruivano e ricostruivano su se stesse, spesso all’interno di cerchie murarie rigide cercando di limitare la propria impronta sul suolo.
La terra era un bene prezioso che non veniva dilapidato, tutt’al più si ampliavano i terreni agricoli in base alle espansioni demografiche e alle mutate richieste di generi alimentari.
Il vero land grabbing di cui ormai non si parla più è proprio questo, perpetrato giornalmente dall’edilizia con l’avvallo delle amministrazioni comunali che monetizzano e fanno cassa con “gli oneri di urbanizzazione” e dallo Stato che con le infrastrutture pensa di amplificare la crescita industriale.
Ma la crescita esponenziale e infinita non è compatibile con un mondo finito.
La cementificazione dei terreni si scontra con le necessità del comparto agricolo di produrre cibo.
Anche se ormai la delocalizzazione dell’agricoltura è un dato di fatto, indotta dall’impossibilità del lavoro agricolo di generare reddito sufficiente al sostentamento dei contadini.
La mia speranza, che so benissimo impossibile da vedere realizzata, di studente e di ex-architetto era ed è che il processo di espansione finisca e si cominci a demolire il cemento, l’asfalto che hanno coperto il territorio e si operi un riciclo del patrimonio abitativo, industriale di qualità già esistente.
Una politica del levare e contrarre invece che dell’espandere e aggiungere.



venerdì 21 dicembre 2012

Memorabilia A.D. 2012


Il 2012 volge al termine.
Tireremo qualche somma, enoica.
Quello che più conta è che dal vino siano nate amicizie e collaborazioni.
È il potere delle passioni condivise.
Ci siamo dati un massimo di sette vini e di 140 caratteri per dirne qualcosa.

Trebbiano 2002, Valentini
Stupendo per capacità espressive e totale riconoscibilità. Vino vivo. Grande annata. Beva iperuranica.
Barbera 2010, G. Ratti
L'alchimista di Variglie, con l’anziana vigna e un tocco di grignolino, fa sognare ancora.
Grignolino 2011, Tenuta Migliavacca, F. Brezza
50 anni di understatement biodinamico sublimati nell’”anarchico e testa balorda”.
Barolo Riserva 1961, G. Mascarello
Dopo di lui, la ricerca per ritrovarne la bellezza. Etereo e sublime. Va dritto nel mondo delle idee.
Montevertine 2006, Montevertine
Facile, succoso e balsamico. Bono bono bono.
LN012 Pinot Noir 2005, B. Schueller
Nitido e sparato, fragrante e fragoroso e ultra bevibile. Un vino che cura corpo e spirito.
Cinsault Rouge 2011, La Sorga, A. Tortul
La banalità della beva torbida e integrale. Grappoli di viti vetuste spremuti e fermentati. Vino.

Niccolò

Vouette e Sorbèe, Fidèle, Champagne Extrabrut
Perché non si può festeggiare senza uno sciampagn
Barbera d’Asti Docg, Ronco Malo 2009, Bera Vittorio e Figli, Gianluigi Bera
Savagnin 2005, Cuvèe Prestige,  Aoc Cotes du Jura, Domaine Ganevat
Per ricordarci che non siamo in-ossidabili
Vermouth bianco BV, Chinati Vergano, Mauro Vergano
Perché adoro le mollezze del vermouth e le durezze dell’Hemingway
Valcamonica Merlot, Igt, 2008, Cav. Togni-Rebaioli, Enrico Togni
Perché fra le amicizie nate per colpa di questo blog c’è il viticoltore eroico che lo produce
Divina, Birrificio Torrechiara, Lorenzo Losi
Perché anche nelle periferie di tristi città post industriali si possono incontrare portatori sani di magia
Mounbè, vino da tavola rosso, (2006), Cascina degli Ulivi, Stefano Bellotti
Vino di resistenza, naturale e naturalmente buono senza sofisticazioni, anche se è reato dirlo, forza Stefano ti siamo vicini

Luigi

Sauvignon 2008, Camillo Donati
il frizzante che non ti aspetti e che ti sorprende
Brut Nature 2009, Barranco Oscuro
bollicine naturali andaluse travolgenti
Ruchè Docg 2010, Cascina Tavijn 
pietra filosofale della terra dei miei avi, il vero ruchè
Grignolino Doc 2006, Giuseppe Ratti
il vino più buono che abbia mai bevuto
Barbacarlo 1989, Lino Maga
extraterrestre anche berlo come aperitivo a Chinatown
Dettori Romangia Igt rosso, 2009, Tenute Dettori
il cannonau arcaico da vigne di cento venti anni, una bomba atomica
L'Anglore Les Traverses 2011 Eric Pfifferling
perchè qualcuno ha fatto mille chilometri in un giorno per andare a prenderlo

Vittorio

UnderTheSky 2010, Mattia Filippi
Nato in una notte d’estate, con fresca brezza che si confonde a profumi avvolgenti.
Equilibrio, tannini vellutati, bella persistenza in bocca
Stupor Mundi AdV Doc 2006, Carbone
Lo apri, senti la terra, e ancora la terra nera e il calore del vulcano antico. Spezie e frutta rossa, finale di sottobosco. Polposo
Montevertine 2000, Montevertine
Dimenticato da anni sullo scaffale di una enoteca, una scommessa. Vinta. Frutta rossa matura ma tannini fin troppo ingentiliti
Pinot noir 2009, Ottin
Se non fosse che da qualche parte dell'etichetta c'è scritto "Vallée d'Aoste", lo scambieresti per un vino francese
Erbaluce di Caluso La Rustìa 2010, Orsolani
Dai diamanti non nasce niente, dai terreni morenico sabbiosi questo succo decisamente nerale, con ricordi di zagara e un finale pulito
Nuat Pla de Bages (D.O.) 2008, Abadal
Picapoll? Cos'è il picapoll? Dalla Catalogna, sapidità e varietà degli aromi. Agrumi, frutta gialla, erbe aromatiche e sentori di mela.
Vilosell 2008
A due passi da Barcellona un curioso superblend di 6 vitigni dalla passione di Tomàs Cusiné. Raccolte a mano e prezzo super, 10 a bottiglia.

Sergio 


mercoledì 19 dicembre 2012

Forse scherzavamo, forse no. Il mio Sauvignon 08 di Camillo Donati


Forse scherzavamo, forse no.
Durante una cena con Vittorio Rusinà a Le Scodelle al primo bicchiere de Il mio Sauvignon 2008 di Camillo Donati, all’unisono abbiamo pensato e detto che era uno dei migliori vini bianchi che avevamo bevuto ultimamente.
Con l’aumentare del tasso alcolico siamo arrivati a dire che era il miglior bianco d’Italia!
Forse scherzavamo, forse no.

Rusticamente imponente e incredibilmente disponibile nella sua complessità.
Interdetti lo abbiamo bevuto, increduli che un vino di questo prezzo e tipologia possa inalberare così tanta ricchezza.
Mi ha sfiorato anche, per un fugace attimo, l’inanità della porno-punteggistica-guidaiola dei migliori vini.

Poi ho scoperto che due anni fa ne avevo bevuti un paio di Il mio Sauvignon 08.
E ripensandoci ho capito con lucidità che non solo è un grande vino ma ha una capacità di evoluzione incredibile.
Due anni fa era scorbutico, birroso, amarostico, fienoso, tannico, scalciava come un puledro e carteggiava le papille.

Oggi è denso e piacevolmente frizzante, il fieno è diventata camomilla essicata, è comparsa una mineralità di lana bagnata con accenni di idrocarburi e riso, niente più velo tannico, delicatamente amarognolo con acidità benevola e rinfrescante.

Un costrutto di incredibile sostanza e pungenza e ricchezza in soli 12,5% vol di alcool.
Un bruco che è diventato farfalla e penso abbia davanti ancora anni per chi sa attendere.

A Fornovo ho fatto assaggiare ad un amico la Barbera di Donati e una persona che lo accompagnava ha detto che un vino così lo poteva fare anche lei, senza sforzo, con del mosto che stava acetificandosi lasciandolo andare senza controllarlo.
Ebbene io pagherei e venderei l’anima al diavolo per fare i vini così come li fa Donati.
Forse scherzo, forse no.
Luigi




lunedì 17 dicembre 2012

Lorenzo Accomasso in quel di La Morra (CN) frazione dell’Annunziata


Ho già parlato di Accomasso e vi consiglio di leggere questo prima di approcciare il post.
Per intuire il personaggio che sottostà a questo vino.
Con Vittorio Rusinà abbiamo aperto una bottiglia di Barbera d’Alba Pochi Filagn 2006.
Pochi Filagn in dialetto piemontese vuol dire pochi filari perché purtroppo in fase di ridimensionamento del suo vigneto, la barbera, decisamente meno redditizia, ha ceduto il passo al nebbiolo da Barolo.
E questo è un “darmagi”.
Un vero peccato perché la barbera è una cultivar generosa ed eclettica, è buona da giovane ma sa essere longeva, spumeggiante, passita.
Legge i luoghi li interpreta ed è maledettamente Piemontese sia per la diffusione, da nord a sud, da est a ovest sia per la sua connessione intima con l’antropologia alimentare regionale.
Accomasso ne dà una sua interpretazione (langhetta direi, così per farmi capire) molto elegante e verticale.
Mortifica il frutto, attenua l’acidità e la dolcezza carnale dell’uva e la trascina in un processo di distillazione terziaria dei profumi e delle consistenze.
Un processo alchemico di estrazione degli aspetti più reconditi, sottili.

Una Barbera sottile, affusolata la sua che riporta i profumi di humus e cortecce e tartufo e lacca e menta.
Per tornare su note suadenti di frutta disidratata.
Vino cangiante dice Vittorio.
Lunghe macerazioni, travasi che durano giorni a botte scolma, questi, forse, sono gli strumenti della sua ricerca estrema della tenuta ossidativa del vino che superato questo stress rinasce.
Comunque sia è il volto aristocratico del vino che ne viene fuori e ciò che mi fa sorridere è che sia un vero contadino ormai settantenne a tirarlo fuori.
Kampai

Luigi

domenica 16 dicembre 2012

I ricchi proprietari di Autun



“I ricchi proprietari di Autun, fin dall’epoca basso-imperiale, avevano dotato il loro Vescovo e il capitolo di bei vigneti situati sui pendii favorevoli più vicini. E’ così che si spiega, secondo Roger Dion, l’odierna concentrazione di numerosi ottimi vini di Borgogna tra i confini dell’antica diocesi di Autun. I Duchi di Borgogna e il re di Francia faranno in seguito la fortuna della Cote de Nuits settentrionale. La minore reputazione della Cote Chalonnaise o del Maconnais non è affatto legata a peggiori condizioni pedoclimatiche, tutt’altro, ma a un più scarso patrimonio di attenzioni scrupolose prestate fin dall’antichità. Si comprende allora la ricchezza e la complessità del concetto di terroir. Lungi dall’essere costituito unicamente di elementi fisici, esso è anche il risultato di un riconoscimento antico delle sue potenzialità e delle sue virtù, di una lunga serie di miglioramenti, di competenze tramandate, di scelte colturali e di vinificazione. Più i proprietari sono raffinati intenditori, più la loro esigenza si esprime nel lungo periodo, più alte sono le possibilità che un terroir produca un ottimo vino.”

Jean-Robert Pitte

venerdì 14 dicembre 2012

Le Papillon Rouge VdF 2010, Domaine Henri Milan



Come la limatura di ferro con la calamita mi faccio attirare dai vini a base grenache, poi se c’è pure il (la) mourvédre vado via di melone (non chiedetemi perché, è che il nome che mi piace da pazzi).
C’è sicuramente una spiegazione organolettica e di gusto, io non amo particolarmente tannini e acidità elevatissimi e non disdegno una certa ricchezza di sapori e profumi.
Vini a elevata orizzontalità (non concentrazione, quella è un'altra storia e non mi attira) con puntate eteree e rarefazioni controllate.
Ebbene il sud della Francia mi dà delle belle soddisfazioni.
Questo Papillon Rouge mi è piaciuto come si è presentato con le sue speziature polverose, leggere vegetalità, affumicature di incenso e pochissimo frutto.
Bevevo e mi ricordava qualcosa.
E allora ribevevo.
Non imponente, elegante a tratti amarostico-vegetale ma con grazia.
Finchè è arrivata l’illuminazione!
Les Traverses 2011 di Eric Pfifferling!
Ecco cosa mi ricordava.

Poi google map da me interrogato dice che sono a trentatre chilometri di distanza l’uno dall’altro, anche se in Aoc differenti.
Uno a nord di Avignone, l’altro a sud.
E mi è sovvenuto l’eterno.
Bonne degustation

Luigi


mercoledì 12 dicembre 2012

Giuseppe Ratti a Variglie

Foto di Niccolò Desenzani
Niccolò Desenzani mi ha passato una patata bollente che inizialmente non volevo prendere per due motivi:
il primo è che Giuseppe Ratti in quel di Variglie (AT) è una sua scoperta a cui lui tiene molto anche dal punto di vista umano;
il secondo è che ho un po’ di ritrosia nel parlare di vini che non ci sono più e non ci potranno più essere e quindi l’aspetto divulgativo viene a meno e si esalta un aspetto, a me inviso, dell’esaltazione della rarità, della irraggiungibilità dell’oggetto della narrazione, mi sembra un atto snobistico e autocelebrativo (non che manchino nella storia del giornalismo enologico articoli del genere).

Poi ho ripensato alla chiacchierata con l’Ingegnere in pensione e bio-viticultore Giuseppe Ratti a casa sua a Variglie e ho cambiato idea (anche se non so bene per quale motivo).
Aspettavamo Niccolò e, seduti sulle panche umide del cortile, abbiamo parlato delle molte conoscenze a noi comuni tra i professori dell’Università che ho immeritatamente frequentato e in cui lui insegnava e poi del figlio Architetto che è a capo di un dipartimento del  MIT (Università di Boston che è, per un architetto della mia generazione, un MITo, hanno progettato edifici scolastici Alvar Aalto, Steven Holl, Franck Lloyd Wright e insegnano e hanno insegnato i più grandi architetti mondiali) e della sua vita spesa su aerei in giro per il mondo.

Mi ha accennato, con un po’ di amarezza, l’ineluttabilità del suo progressivo abbandono della viticoltura sia per cause anagrafiche sia per disinteresse del figlio in questa attività.
I vigneti corrosi dalla flavescenza dorata sono diminuiti di estensione e le complessità burocratiche lo hanno convinto, con un rigurgito di ribellione anarcoide, ad abbandonare.

Foto di Niccolò Desenzani
Negli ultimi anni produce sempre meno bottiglie per uso proprio assemblando barbera e grignolino prodotti in un luogo evidentemente votato ma sconosciuto a tutti, in una valletta boscosa a pochissimi chilometri da Asti.
Arrivato Niccolò ci siamo trasferiti in casa e sono rimasto colpito dalla dicotomia fra la sua attuale condizione di contadino e la sua vita precedente divisa fra le strade e ambienti urbani e il palazzone razionalista del Politecnico di Torino.
Una dicotomia evidente ma altrettanto evidentemente cercata come una catarsi.
Una presa di distanza, serena direi, dai gorghi delle sirene ammaliatrici della città e della scienza.

Assaggiamo le sue composte di frutta e lo ascoltiamo mentre parla con toni pacati e vagamente ipnotici, poi andiamo in cantina, poi risaliamo e sono già passate due ore senza che ce ne accorgessimo.
Carichiamo in macchina un po’ di cartoni di annate varie e ce ne andiamo, attraversare il suo cancello  è stato un po’ come superare le porte spazio temporali care agli scrittori di fantascienza e non siamo finiti in un mondo filopauperista, perennemente e semplicisticamente affascinato dal passato mitizzato ma in un possibile mondo parallelo, una evoluzione possibile del mondo, ma ahimè disattesa.
Come sono i suoi vini mi chiederete?
Perché dirvelo, tanto non esistono.

Foto di Niccolò Desenzani

abbiamo assaggiato da soli e/o congiuntamente con Niccolò Desenzani e Vittorio Rusinà:

Grignolino 2006
Barbera 2007, barbera, grignolino

Barbera 2008, barbera, grignolino  ho deciso per questa bottiglia di disattendere il mio proposito di non raccontare i vini e dopo una consultazione con Vittorio Rusinà ho aggiunto due note su questo millesimo figlio di un anno di peronospera mortificante che ha ridotto ai minimi la produzione e le maturazioni non sono state ottimali e forse il grignolino ha nel taglio un peso maggiore del solito.
Ebbene Vittorio ed io siamo felici di aver avuto per le mani un vino così, diafano, elegante e affusolato a tratti nobile e scorbutico con memorie di pinot nero alsaziano e infinito, ho tenuto la bottiglia aperta per una settimana e ogni giorno era meglio.

Barbera 2009, barbera, grignolino
Barbera 2010, barbera, grignolino


lunedì 10 dicembre 2012

Pachys 2001, Eloro Pachino Doc, Az. Agr. Arfò



Splendida forma per questo Nero d’Avola prodotto nella Doc Eloro sottozona Pachino in contrada Bufalefi.
Eleganza e freschezza, ammorbidite da un attacco dolce molto nobile.
Folate di macchia mediterranea e minerale ferruginoso.
Quelle sensazioni calde e ferrose del “calaurisi” (nero d’Avola) quando incoccia le sabbie calcaree di Pachino.
Che dire di più se non che ho la sensazione che le potenzialità di quelle colline magiche comprese tra due Mari e l’altopiano Ibleo siano a dir poco sottovalutate.
Bonne degustation

Luigi

Poscritto
Ne avevo aperta una tre anni fa ed era ugualmente splendida con terziari nobilissimi ora, forse, in leggera flessione come dicono i Francesi a boire!


domenica 9 dicembre 2012

#vinivecchi Rouchet, vino da tavola 1996, Casa Vinicola Scarpa



Avevo già detto che mi sarebbe piaciuto assaggiare del Ruchè con qualche anno sulle spalle.
Ebbene sono stato accontentato, un 1996 di Scarpa.
Per cui considerando che è un Ruchè e non ci sono termini di paragoni perché nessun produttore si è spinto sino a questi livelli di invecchiamento rientra di diritto nella rubrica #vinivecchi.
Devo precisare che è un vigneto di ruchè allevato a Nizza Monferrato (AT) molto fuori dalla zona della Docg Ruchè di Castagnole Monferrato.
Scarpa poi è una azienda vinicola che ha una visione del vino (per lo più mantenuta anche dalla nuova proprietà) proiettata sull’evoluzione, sulla terziarizzazione dei profumi.
Una ricerca estrema del sapore della terra, del luogo e dei distillati aromatici che solo lunghi affinamenti possono dare ai vini, poche concessioni alle fruttuosità e alla concentrazione.
Vini che da giovani possono essere scontrosi diventano poi estremamente eleganti.
Ebbene il Rouchet era così, elegante, molto profumato ma non stucchevole, legni aromatici, speziatura di cannella e chiodo di garofano.
La sensazione era quella di un pout pourri in cui la florealità oramai essiccata aveva perso la freschezza guadagnadone in complessità  e profondità aprendosi ad accenni di viola-liquerizia, frutta in composta.
Setosità minerali di argille.
Mi è parso un lieve scivolare in bocca come se le durezze fossero un po’ scemate.
Ma la bottiglia era finita.
E questo è un buon segno
Kampai

Luigi

Poscritto
Scarpa è una cantina simbolo del nicese che però, pur essendo presente nelle carte dei vini dei migliori ristoranti, ha sempre scontato una leggera mancanza di appeal nel consumatore medio.
Sarà per le etichette?
Io le trovo così brutte che potrebbero diventare dei capolavori ma solo dopo molti bicchieri.