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venerdì 30 settembre 2011

nebbiolodalbaDOC2007lavaldeipreti_matteocorreggia

Nebbiolo d’Alba doc, La  Val dei Preti 2007, 14,5%vol.
Nebbiolone intenso.
Nasone importante.
Grasso e opulento.
Bizantino.
Alcool all’ingrosso e sensazioni quasi sottospirito.
Cioccolatoso.
Zuccheroso.
Legnoso.
Fruttoso.
Scende in bocca un po’ bruciante.
Caldissimo come l'annata che lo ha generato.
Buono comunque.



Ma.
Forse troppo.
Troppo tutto.
Troppo tanto.
Troppo tecnico?
Non è forse ora di far produrre un po’ di più le viti.
Così che concentrino un po’ meno e le asprezze maliche ci titillino il gargarozzo.
Non è forse ora di selezionare lieviti che producano meno glicerina.
Viscoso.
E il bicchiere non sia pesante come marmo.
Diluire diluire!
Urlano al cantiniere.
Io barcollo e scarroccio per le vie del paese.
E con fatica raggiungo la magione.
Bonne degustation


Luigi

mercoledì 28 settembre 2011

_il_territorio_èmorto_viva_ilterritorio




“…Pur senza capire il significato, avevo in bocca solo la parola “territorio” – ma oggi so che “il territorio” esiste solo in funzione del mito dell’infanzia e che, se ci inventiamo il mondo delle tradizioni radicate nella terra e l’identità di una regione, lo facciamo solo per rendere concreti e oggettivi gli anni magici e irrimediabilmente passati che precedono l’orrore di diventare adulti. Solo la forsennata volontà di far perdurare un mondo scomparso a dispetto dello scorrere del tempo può spiegare come sia possibile credere nell’esistenza di un “territorio”: è tutta una vita scomparsa, un aggregato di sapori, odori e profumi disparati che si sedimenta nei riti ancestrali, nelle pietanze locali, crogioli di una memoria illusoria che vuole trasformare la sabbia in oro e il tempo in eternità. Al contrario, la grande cucina non esiste senza evoluzione, erosione e oblio. La cucina è diventata arte grazie a una continua elaborazione, alla mescolanza di passato e futuro, qui e altrove, crudo e cotto, salato e dolce, e può continuare a vivere solo liberandosi dall’ossessione di chi non vuol morire…”
Muriel Barbery,
Estasi Culinarie, e/o editore, Roma 2010.





 “Viaggiare, come raccontare - come vivere - è tralasciare. Un mero caso porta a una riva e perde un’altra.”
 “i luoghi sono gomitoli del tempo che si è avvolto su se stesso. Scrivere è sdipanare questi fili, disfare come Penelope il tessuto della Storia”
Claudio Magris,
Microcosmi.






Nullus locus sine Genio.
Il territorio, il tempo esistono non solo in quanto tali fisicamente ma anche e soprattutto come luoghi  esperibili, perennemente reinterpretati, modificati, dimenticati dal fluire inarrestabile della vita.
Il cambiamento, dunque, e il continuo inventarsi delle tradizioni, ogni volta superate e integrate dalle nuove, non la staticità sono la cifra del radicamento territoriale, dell’essere nel mondo.
La continuità un tempo era assicurata dalla presenza rassicurante dei geni dei luoghi, un affollato esercito di dei e semidei che popolavano il nostro mondo e le nostre case.
Forse oggi lo strappo che percepiamo è quello dovuto alla eccessiva brutalità e velocità dei cambiamenti non commisurata con la nostra capacità di metabolizzazione e la completa perdita di mistica e trascendenza dei luoghi oramai ridotti a entità economiche, misurabili, quantificabili e saccheggiabili.
Abbiamo ucciso i Daimon, i Lari, le Ninfe, le Fate, i Geni.
Il territorio è morto.



E la tradizione assistita dalle novelle scienze non lo riporteranno in vita.
Al massimo con fare da tassidermisti lo imbalsameranno e museificheranno.
E ci muoveremo al suo interno come attori scalcinati in un teatro parrocchiale.

Luigi

lunedì 26 settembre 2011

pinotspumanteca'delgè2005metodoclassico_millesimato

Ca’del Gè, brut 2005, metodo classico millesimato.
Az. Agr. Ca’ del Gè, Montalto Pavese (PV).



Ultima bottiglia.

Cento per cento pinot nero dell’oltrepo’ pavese.
Colore intenso.
Profumi intensi.
Lievitoso di lievito madre e farina di segale.
Caldo di pinot nero robusto e mediterraneo.
Suadente come notti d’estate e cicale.
Profumi di boschi bagnati dopo i temporali estivi.
Bollicine impertinenti e tonificanti.


Rotondo e vinoso.
Orrizontale e argilloso e fruttoso e godurioso.
Mette a tacere salamini affumicati e Gruyere d’alpage.
Mi piace.
Per la sua lieve rusticità.
Per la sua semplice, onesta perfezione.
All’incredibile costo di 7,50 euro i.i. la bottiglia.
E rimane per trentasei mesi in presa di spuma.
Un miracolo.
E non hai rimorsi a berlo sulla pizza, solo godimento celestiale.
Glu glu.
Va giù.
Bonne degustation


Luigi

venerdì 23 settembre 2011

pachinoAGOSTOduemilaundici_lettera_aperta



Cari lettori (i soliti due),
ho cogitato un mesetto prima di mettere mano al post sulla Marabino che doveva infoltire la serie de “gli uomini dietro i terroir”.
Poi al momento di scrivere qualcosa, ho ripensato a ciò che era successo durante la visita in cantina.
E ho voluto scrivere di quello che è successo.
Sicilia, Agosto duemilaundici, mi dicono vai da Marabino a Pachino.
Concitato perché sono prossimo al ritorno a casa, telefono, prendo accordi, litigo furiosamente con mia moglie
(“non vieni mai con noi al mare sempre lì attaccato al blog o fuori a farti i c…i tuoi”),
mento a mia figlia trenne spudoratamente:”torno subito Bibi, facciamo il bagno insieme”, rientrerò a Sampieri alle 20,30.
Insomma alle due del pomeriggio esco e faccio prua verso Pachino contrada Buonivini.
Arrivo alla Marabino, veloce visita della cantina con il proprietario Pierpaolo Messina che poi mi lascia nelle mani dell’enologo.
Salvatore Marino persona squisita e profondo conoscitore della viticoltura Pachinese (figlio di vignaioli del luogo) con esperienze lavorative in giro per l’Europa.
Mi dedica tante parole e tanto tempo e di questo lo ringrazio pubblicamente.
Al momento di assaggiare i vini, si rompe l’idillio, compare della taccagneria, che a un mese di distanza mi suona come meschinità, inaccettabile da parte di produttori con un piede nell’industria petrolchimica e una cantina con così tanto inox che pare un acceleratore di particelle nucleari.
I vini che producono sono cinque.
Inizia la degustazione e Marino incomincia a rovistare nel frighetto della mensa.
Sono fortunato perché lì abbandonati trova quattro dei cinque vini aziendali.
Me li fa assaggiare.
Tutti da bottiglie senza etichette e alcune molto scolme, rimaste nel frigorifero da: “non mi ricordo più quanto”.
Il rosso per cui ero andato un Nero d’Avola DOC Eloro Pachino Riserva, non c’era e malgrado le mie rimostranze non sacrifica una bottiglia tappata della preziosa riserva.
Tambasio e gigioneggio un po’, pensando che scherzasse, invece nulla, non si smuove e non mette mano al tirebouchon.
L’aria condizionata ghiacciata della mensa e lo sbigottimento mi fanno scendere sudori freddi lungo la schiena.
Rimugino e ormai tachicardico alla fine, per assaggiare ‘sta riserva,
compro dodici buttiglie assortite (che avrei comunque acquistato).
Niente sconti.
Pago centoquaranta eurini.
Saluto.
Ondeggio nel calore cocente.
Salgo sulla macchina in ebollizione.
Ricomincio a sudare.
Mentre guido come automa verso casa.
L’amaro, piano piano, dalla bile mi risale fino alla bocca.
In più ho perso un intero pomeriggio di risate fanciullesche e spruzzi d’acqua.


mercoledì 21 settembre 2011

carema 2006 white Label nebbiolo ferrando ivrea

Carema 2006 etichetta bianca.




Nord Piemonte una Doc minuscola, 28 ha in provincia di Torino a nord di Ivrea con vini dall’85% al 100% base Nebbiolo.
Carema è quasi all’estremo ovest della  fascia che parte da Donnas  in Valle d’Aosta e termina a Fara in Provincia di Novara.
Viti radicate sulle pendici delle Alpi Graie, sulle colline moreniche generate dai ciclopici ghiacciai del quaternario.
Su terrreni talvolta a reazione sub-acida.
Al limite nord della maturazione del Nebbiolo.
Comunque assai prossimi.


I vigneti di Carema, in particolare, sono su costoni montani con alle spalle imponenti catene montuose e ghiacciai.
Temperature e pendenze limite.
Le pergole con pilastrini lapidei e i muretti a secco caratterizzano queste coltivazioni.
Le tonnellate di pietre accatastate nei secoli per terrazzare.
Non solo assicurano qualche palmo di terra in piano.
Fanno anche da volano termico, intiepidendo le gelide notti montane.
Luce fortissima, aria di cristallo, escursione termica.
Una benedizione per la vite.
Ne viene fuori,
ad avere voglia di lavorare oltre i limiti oggi comunemente tollerati.
Un vino sottile come l’aria che respira.
Poco colore ma lucida vivacità e brillantezza come i riverberi dei laghi montani,
acidità decise ma nobili e sgrassanti per vini destinati a diluire formaggi e carni e burro.
I tannini sono meno incisivi (a mio parere) degli omologhi meridionali.
Morbidi, rotondi e fusi, integrati con l’acidità.
Profumi  eleganti, delicati come quei sentori talvolta appena intuiti quando si cammina in montagna, di erbe, fieno e piante odorose.
Frutti rossi e succosi e note terrose di humus, di sottobosco.
Un vino che deve essere visto,
malgrado l’apparente semplicità,
come punto di arrivo, come traguardo dopo sbornie di eccessi.
Un vino Wabi-sabi,
in salsa Piemontese.
Che è tutto dire!
Bonne degustation


Luigi



lunedì 19 settembre 2011

roero_arneisdocg2007cornareacanale

Roero Arneis docg  2007,
Az. Agr. Cornarea, Canale (CN).



Dopo il post sull’Arneis , Fabio D’Uffizi, che si ostina a perdere il suo tempo leggendomi,
mi ha fatto notare che per lui è un “ottimo vino” a dispetto delle mie tesi.
Forse nate da una cieca reazione allo sciovinismo dei miei corregionali.
Rimuginavo un po’ piccato sulle parole di Fabio.
Che è persona preparata, pacata e riflessiva.
E le parole non le spreca.
Il mio esatto opposto.
Logorroico e attaccabrighe.
Anche permaloso.
Ma la mia cantina non vede Arneis dal lontano millenovecentonovantacinque.
All’enotecario di fiducia che da anni vuole propinarmeli non volevo dare segni di cedimenti o ripensamenti.
Tanto non legge il blog!


Finchè in un supermercatuccio di montagna trovo:
un Arneis di un produttore che ha creduto nel vitigno dalla prima ora,
per di più di un millesimo “antico”, il 2007 e
ciliegina sulla torta ad un prezzo decoroso di undici eurini e trentuno centesimi.
Lo raffreddo e lo apro la sera stessa.
Colore intenso, vivo,
profuma di ciottoli e pierre a fusil con echi di idrocarburi,
citrino e agrumato (pompelmato se esistesse il termine),
memorie di maturazioni fruttifere e mellifere,
mentolato e officinale?
L’acidità e mineralità in tandem, con pesche mature e foglie di menta che galleggiano.
Buono.
Freschezze inaspettate.
Per un Arneis e per un’annata calduccia.
Ho cambiato idea sull’Arneis?
Ci devo pensare.
Nel frattempo, posso dire di averne trovati due che posso ordinare e bere ad una tavolata di monarchici piemontesi.
O nel caso in cui mi capitasse a cena Fabio D’Uffizi!
Di alcune cosucce rimango comunque convinto:
immissione sul mercato troppo in anticipo;
vinificazioni iper tecniche che levano un po’ l’anima;
costo un po’ alto.
Ho come la sensazione che dietro questi vini non ci sia un terroir, al più un territorio e stringenti, seppur comprensibili, logiche commerciali.
Bonne degustation



Luigi

venerdì 16 settembre 2011

costadamalfiFurorebianco2008marisacuomo


Costa d’Amalfi doc, Furore bianco 2008.
Marisa Cuomo.

Vino estremo.
Arrampicato sulle scogliere.
Inebriante di profumi di limoni amalfitani e di cedri.
Dolce come albicocche
e caldo come i raggi di sole settembrino.


Fresco come le brezze marine di maestrale.
Se avete pazienza, virtù che non mi appartiene, aspettatelo ancora.
Le pietre nelle quali conficca le radici.
Verrano sempre più fuori.
E ciotoli levigati invaderanno le vostre bocche.
Bonne degustation

Luigi

mercoledì 14 settembre 2011

arbois pupillin AOC 2006 savagnin JURA france

Chi è l’amico delle ossidazioni (terza parte)
Chi volesse ripassare la prima parte o la seconda parte

Arbois-Pupillin, appellation arbois controlée, Savagnin 2006, 13%vol.
Domaine de la Renardiére, Pupillin, Jura, Francia.


Il colore perfetto, abbastanza scarico non annuncia:
Secco secchissimo
Acido
Salato
Muffette
Fieno maggengo
A cercare anche noci



Curcuma?
Persino un po’ cattivo
Perfetto sul Beaufort d’etè
Perfetto sul Piacentinu di Enna
Perfetto da solo, freddissimo, con davanti l’immensa ristrettezza di un paesaggio montano
Mi esalta l’impatto con la bocca severo
che poi di colpo, senza indulgenze,
svanisce in schiuma marina.
Bonne degustation


Luigi

L’altro Arbois era meglio, se proprio dovessi metterli su un podio.

lunedì 12 settembre 2011

1703 valcamonica rosso 2007 togni Rebaioli erbanno

1703 valcamonica rosso 2007. Nebbiolo e Barbera (dal millesimo 2008 solo Nebbiolo).
Az. Agr. Togni Rebaioli, Erbanno di Darfo Boario (BS).




Prima di scriverne ci ho pensato su un po’.
Ad Enrico Togni ho già dedicato due post (uno, due questo è il terzo) quantità statisticamente rilevante per un blog così giovane, per lo meno sospetta.
Inoltre Enrico mi aveva appena chiesto se avessi assaggiato e che idea mi fossi fatto del 1703.
Sembrava una marchetta.
Però mi ha incuriosito e ho pescato l’ultima bottiglia superstite dopo un crollo di scaffali.
Stappo, verso, roteo, annuso.
Buono, molto buono direi.
Per cui la mia incontinenza comunicativa mi spinge a scriverne.
Figlio di cloni antichi di Nebbiolo.
Né langhetti né valtellinesi.
Almeno così dice l’acido desossiribonucleico aka DNA.
Cupo e intenso di colore
Il 1703 del 2007 (vi ricordo che era ancora in taglio con la Barbera) nebbioleggia con spavalderia e leggiadria.
Viole e liquirizia dolce, legni, polvere e terra bagnata,
tartufo, frutta matura (sarà la Barbera).
Barbera che è il pezzo forte di Enrico.
Non divaghiamo.


Perfino un po’ di vegetale (sarà la vicinanza con la vigna di Merlot).
Merlot che è l’altro pezzo forte di Enrico.
Non divaghiamo.
Acidità elegante e tannino rotondo, inchiostro di china,
terra, morbidezze.
Come gli altri vini di Enrico l’assaggio del Day after.
E’ quasi meglio.
Il liquido allunga il passo e inserisce profondità, si "sporca", si incupisce, muta e varia.
Ha della vita davanti.
Ma non chiedetemi quanta.


Erbanno di Darfo Boario (BS) è alla periferia del mondo del vino italiano di qualità.
Il fatto è che Enrico non se ne rassegna e fa di tutto per provare che ha ragione.
E questo vino corrobora le sue tesi.
Bonne degustation


Luigi

venerdì 9 settembre 2011

roeroarneisDOCG2009brunogiacosa

Roero Arneis docg 2009.
Arneis.
Arneis.
Arneis.

Devo ripetere il nome come un mantra.
Per convincermi a:
1)       comprarlo,
2)       berlo,
3)   berlo senza pregiudizi.
L’Arneis per un piemontese è l’unico vino bianco contemplato dalla sciovinista visione del mondo enologico.
E’ anche un vino simbolo di un territorio e volano economico.
Su questo nulla da dire se non che il consumatore determina la fortuna di un prodotto al di là della sua intriseca qualità.
Io ogni tanto colmo di pregiudizi ma con intenti da ricercatore indefesso mi ci avvicino e ne vengo sempre deluso.
Sarò snob.
Sarà che non sopporto il campanilismo.
Sarà che ha preso prezzi un po’ sopra i suoi meriti organolettici.
Sarà che viene immesso sul mercato giovanissimo.
Sarà che ci sono bianchi molto migliori.
Persino nello stesso, da me tanto vituperato, Piemonte.
Comunque sia di solito me ne tengo alla larga.
L’Arneis di Bruno Giacosa però, ho scoperto ultimamente, è stato prodotto dagli anni settanta in maniera pioneristica e con intuizione sciamanica sulle sue potenzialità e fortune mediatiche.
Chapeau al grande Bruno.
Gino Veronelli volle assaggiarlo en “primeur”.
Insomma non ho resistito e ho comprato un pezzo di storia enologica italiana senza tema e senza indugio.
L’ho subito assaggiato e bevuto.
Mi è piaciuto.
Ha un colore intenso e intrigante.
Un olfatto senza picchi ma intenso ed espressivo persino mutevole nel suo ambientarsi al calice.
Una  vaga mineralità e un agrumato curioso e suadente.
Fresco e dritto e ampio in bocca.
Probabilmente da riassaggiare negli anni per vedere come evolve.
Il migliore Arneis che abbia bevuto.
Due piccoli appunti:
1) nella bottiglia e poi nel bicchiere c’era una schiumetta persistente.
2) sulla bottiglia c’è scritto: “vino tipico di produzione limitata…” ( 110.000 unità sono poche?)

Costo sui 16,00 euro in enoteca.
Bonne degustation

Luigi

mercoledì 7 settembre 2011

carso kras DOC sauvignon 08 skerk

Carso/Kras doc Sauvignon 2008, 14,5%vol.
Az .Agr.Skerk in quel di Prepotto (TS).


Da tempo ne bevo.
E per gelosia non ne ho mai parlato.
Ho deciso per onestà di farvi partecipi di un mio segreto (sia pure piccolo piccolo).
Denso e profumato di fiori, gigliacee e narcisi, di macerati di erbe, di pollini, di agrumi.
Cremoso con amaritudini tonificanti di germogli di tarassaco e di chinotto.
Buono e bello nella sua veste giallo opalescente.
Brughiere carsiche sferzate dalla bora e da affioramenti di rocce calcaree.
Con un est così vicino, così lontano.
Un vitigno così internazionale e distante di natali che qui ha trovato una sua patria.
O l’ha dimenticata.
Bianco di macerazione potente ed avvolgente.
Sapiente dosaggio della glicerina e del versante morbido.
Mi piace molto.
Glu glu.
Va giù.
Bonne degustation

Luigi

lunedì 5 settembre 2011

colli di luni 09 vermentinoDOC sarticola ottaviano lambruschi

Colli di Luni doc, Vermentino, Sarticola 2009.



Un territorio incuneato fra Toscana e Liguria, fra memorie di antiche civiltà e più recenti frequentazioni ottocentesche di languidi poeti inglesi (Shelley e Byron).
Ammorbato dallo sfruttamento industriale delle cave di marmo bianco di carrara.
Che rendono perennemente innevate le Alpi apuane.
E perennemente impolverate di talco bianco le direttrici verso il mare e i paesi montani.
Diviso fra i lavori all’arsenale di Spezia, alle cave o alla Oto Melara (a far cannoni).
Con il costume da bagnino d’estate a intrattenere torme distratte di turisti e bagnanti.
Dalle colline che hanno visto il naufragio di Shelley.
Ottaviano Lambruschi e suo figlio.
Si accaniscono a produrre vermentino.
Uva bianca con quarti di nobiltà avvezza all’ambiente marino.
Al caldo e alle scarse escursioni termiche.
Per confortare questa tesi (o perché io la voglio corroborare con le papille!).
Nascono in casa Lambruschi vini salini se non salmastri ingentiliti da toni dolci di frutta e agrumi e erbe officinali.
Caldo e moderatamente morbido, percorso dal salino e dall’acidità vivifica e agrumata.
Buonissimo in abbinamento con un dolcissimo Comtè férmiere del 2009.
La dolcezza burrosa e i profumi di fieno del formaggio si integravano perfettamente nel liquido che sgrassava con sale e acido.
Piccolo appunto il tappo siliconico sintetico di polietilene  usato con disinvoltura su una selezione che a mio parere merita di essere aspettata per alcuni anni ancora.
Forse, meglio il tappo a vite.
Bonne degustation

Luigi

venerdì 2 settembre 2011

etnanord_randazzolinguaglossapassopisciaro

Etna
Altezza sopra il livello del mare 3.350 metri.
Un velo da sposa perennemente drappeggiato dal vento.

Nero inferno un po’ ovunque.
Sabbie basaltiche color bronzo.
Slavine di pietre gonfie come pop corn e altrettanto leggere.
Peso leggerezza fuoco terra acqua cielo mito.
Un territorio unico e affascinante.
Vegetazione rigogliosa e lussureggiante e conifere e profumi di resina.
Molti palmenti bellissimi abbandonati.


Testimoni di un passato enologico importante.
Ogni vigneto, un palmento la cui cantina aveva vasche in pietra e torchi e attrezzature integrate con la struttura dell’edificio.

Molte viti a piede franco.
Molti vigneti ad alberello (molto espanso, dei giganti nel loro genere).
Densità impressionanti, fino a 10.000 piante ettaro.
Nerello mascalese a farla da padrone.


Carricante dietro ad inseguire.
Perché i quarti di nobiltà, senza dubbio provengono dal genoma del Nerello mascalese.
Che con il Nero d’Avola e il Frappato appena sotto, sono nel mio Olimpo (personale e confutabile) dei vitigni Italiani nobili. Sempre che siano allevati nei territori loro congeniali.


Le zone di produzione (sto scrivendo a memoria perdonate alcune inesattezze) si dividono principalmente in nord, est e sud est il lato verso la città e il mare e il sud.
Anche se il sole illumina tutto il cono del vulcano, la zona nord rimane la più fredda.
Per cui la fascia altimetrica delle coltivazioni varia con il variare dell’esposizione.
A nord dai 400 ai 600 m s.l.m.
Nelle esposizioni sud dai 600 sino ai 1000 m s.l.m.
Il nord a detta di molti è il luogo di elezione del Nerello mascalese.
I migliori rossi provengono da Randazzo, Solicchiata, Passopisciaro, Linguaglossa.


Le condizioni estreme, come sempre, portano la pianta ad esprimere il meglio, a distillare personalità e finezza.
Fanno dei rossi di grande fascino con profili aromatici anche sorprendenti e io ho voluto sentire come trait d’union un ‘chè di affumicato e sulfureo in onore al vulcano.



I bianchi fanno un po’ fatica ovunque, malgrado grossi investimenti di grossi produttori.
Con le dovute eccezzioni di cui vi ho già parlato.
Aggiungo su stimolo Tirebouchon una nota a margine sulla politica dei prezzi dei vini etnei.
I prezzi dei vini mi sono parsi elevati, poi dei bianchi addirittura ingiustificati a fronte di latitanti qualità organolettiche.
Mi si potrà dire che è viticoltura di montagna, eroica.
Questo lo dice chi non è mai stato sull’etna, la fascia produttiva dai 400 ai 700 m s.l.m. è poco inclinata se non pseudo pianeggiante.
L’alberello sicuramente più costoso come lavorazioni è presente in tutta la Sicilia.
Temo che il prezzo sia più che altro figlio del marketing mediatico e dell’indiscutibile fascino del vulcano.



Però piuttosto che pagare 25 euro un bianco 2010 (a base chardonnay e riesling e un po’ di carricante) preferisco  bere a meno della metà un Catarratto del 2007.
Bonne degustation


Luigi